Formazione in Italia: chi partecipa e chi no

L’ultimo Rapporto Inapp offre una panoramica sulla partecipazione formativa degli adulti in Italia, analizzando le tendenze, le sfide e le differenze rispetto agli altri paesi europei

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Rapporto inapp 2023 formazione in Italia

di Laura Reggiani | Il basso livello di partecipazione ai processi educativi e alla formazione in Italia, da parte della popolazione adulta, costituisce da sempre una delle questioni chiave che influenzano la crescita di interi settori dell’economia e rallentano il progresso.

La necessità di innalzare i livelli di partecipazione degli adulti alle attività di apprendimento rappresenta una delle principali sfide che le politiche formative si trovano oggi ad affrontare. Dopo anni di stagnazione, il tasso di partecipazione degli adulti con età compresa fra 25 e 64 anni alle attività di istruzione e formazione ha subito nell’ultimo triennio un andamento altalenante. Segnando dapprima un crollo, nell’anno del Covid, poi una forte ripresa e infine, nell’ultimo anno analizzato, un assestamento. Nel 2022 infatti il tasso ha raggiunto il 9,6%, con una leggera variazione negativa rispetto all’anno precedente (-0,3%) e un forte incremento rispetto al 2020 (+2,4%).

Il panorama europeo

Nonostante tale crescita, la distanza dall’Europa rimane ancora ampia e, nel 2022 si amplia ulteriormente, superando i due punti percentuali (-2,3%) rispetto al dato medio europeo (11,9%). Ciò è dovuto a una dinamica di crescita troppo lenta, pari ad appena +3,4 punti percentuali negli ultimi quindici anni. Di conseguenza, nel 2022 la posizione italiana nel confronto europeo scende dal sedicesimo al diciottesimo posto, con una involuzione rispetto al progresso registrato l’anno precedente. Nel periodo post pandemico si amplia quindi il gap dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei.

Nel confronto si possono individuare cinque raggruppamenti principali. Il primo aggregato è costituito dal gruppo di testa, in cui si assiste alla conferma dei tassi di partecipazione molto elevati propri dei Paesi Scandinavi (Svezia, Danimarca e Finlandia). Che guidano il ranking insieme ai Paesi Bassi, con valori che variano dal 36,2% della Svezia al 25,2% della Finlandia. Il secondo raggruppa paesi nordici (Estonia e Paesi Bassi) e continentali (Lussemburgo, Slovenia e Austria). Ai quali si aggiunge la Spagna, primo paese mediterraneo, che mantiene la nona posizione, raggiunta nel 2021. Il gruppo, che va dal 21,6% della Slovenia al 15,3% della Spagna, supera la soglia del 15%. Ovvero, l’obiettivo del benchmark ET 2020, posto dalla Commissione Europea, da raggiungere entro il 2020.

Terzo raggruppamento è quello centrale, che si coagula intorno al valore medio EU-27 e comprende sette paesi. Si va dal 13,8% del Portogallo al 10,3% del Belgio. Qui si assiste al recupero di qualche posizione da parte della Francia, che viene però scavalcata in graduatoria dal Portogallo. L’Italia, insieme ad altri sei paesi, fa parte del quarto gruppo. Caratterizzato da valori inferiori al 10%, va dal 9,7% della Lettonia al 7,6% della Polonia. L’infelice posizione italiana è condivisa con la Germania. Il cui dato, però, è contemperato dall’ampio investimento in formazione continua realizzato dalle imprese tedesche a favore dei propri addetti. In fondo alla graduatoria, fra i Paesi dell’Est si conferma l’andamento dicotomico fra Bulgaria e Romania. Quest’ultima abbandona le ultime posizioni in graduatoria per avvicinarsi a Polonia e Ungheria.

Formazione in Italia: i fattori di diseguaglianza

Dai dati emerge come la motivazione principale del ritardo del nostro Paese risieda nei bassi tassi di accesso alle opportunità formative da parte dei gruppi più vulnerabili. In particolare da parte degli adulti con un basso livello di istruzione o di qualificazione professionale. I quali hanno un gap ancora troppo ampio rispetto a quanti hanno un alto livello di istruzione o occupano una posizione professionale di medio-alto livello.

Anche nel 2022, i principali fattori di diseguaglianza sono rappresentati dall’istruzione e dalla condizione professionale. Più di 12 punti percentuali separano il tasso di partecipazione dei laureati (22,2%) da quello dei diplomati (9,9%). Una distanza che raggiunge i 19 punti nei confronti di chi ha livelli di istruzione inferiori (2,5%). Sono 16 i punti percentuali di differenza fra gruppi professionali high-skilled (18,4%) e low-skilled (2,5%), gap che cresce di ben 5 punti percentuali. Emblematica dei diversi fattori di diseguaglianza è la distribuzione della partecipazione alla formazione in Italia a seconda della condizione.

Le professioni più qualificate hanno in tutti i paesi maggiori opportunità di apprendimento. Man mano che si scende nella piramide professionale i livelli di partecipazione si riducono, a volte drasticamente. In Italia i tassi di partecipazione alla formazione in Italia sono bassi per tutte le categorie professionali tranne che per le professioni più qualificate. Che, con il 18,4% si posizionano nella media europea, al quindicesimo posto nella graduatoria EU-27. Per gli addetti meno qualificati, viceversa, l’Italia occupa la diciannovesima posizione con appena il 3,7% (a fronte del 5,1% della media EU-27).

La partecipazione formativa degli occupati

Sebbene la partecipazione alle attività di formazione non sia riuscita negli anni a raggiungere gli standard prefissati a livello europeo, nel 2022 il livello partecipativo degli adulti alle attività di formazione formale e non formale è aumentato. Sia rispetto agli anni della crisi pandemica (7,2% nel 2020), sia agli anni precedenti (8,1% nel 2018 e nel 2019), attestandosi al 9,6% e coinvolgendo oltre 3 milioni di persone.

Il ricorso alla formazione in Italia vede da sempre un maggior coinvolgimento degli occupati rispetto alla popolazione degli adulti in generale. In particolare, relativamente alla formazione di tipo non formale, ossia a quella parte di apprendimento che prescinde dal titolo di studio, il livello partecipativo dei lavoratori è del 9,3% rispetto al 7,2% dell’intera popolazione. Il tasso di partecipazione delle donne prosegue la sua crescita negli anni (9,9% nel 2022 vs 7,4% nel 2020) e come nel periodo pandemico, supera quello maschile, in particolar modo tra i soli occupati (+2,5%).

Coerentemente agli anni precedenti, il livello diminuisce con l’avanzare dell’età sia tra gli occupati che in tutta la popolazione, senza alcuna differenza di genere. Anche a livello territoriale le differenze tra Nord e Sud (circa 3 punti percentuali) restano invariate nel tempo, ad eccezione delle occupate donne, per le quali tale gap si riduce, mentre sono le lavoratrici del Centro a superare la quota partecipativa delle colleghe del Nord.

Corsi di formazione e di studio

Negli anni aumenta anche il gap tra corsi di formazione e quelli di studio. Tanto che la quota di partecipazione dei primi è di due volte e mezzo quella dei secondi. Differenza che cresce se si considerano i soli occupati, dove i corsi di formazione superano di ben 6 volte quelli di studio. Resta invariata la composizione di frequenza tra le fasce di età per entrambe le modalità corsuali.

I corsi di studio restano da sempre appannaggio dei più giovani. Gli under 35, infatti, rappresentano l’11% dell’intera popolazione e il 5,5% dei soli occupati. Per quanto riguarda i corsi di formazione, invece, le quote tra le singole fasce di età si equivalgono, con la sola eccezione degli over cinquantacinquenni dove l’incidenza è leggermente più bassa. A livello territoriale nel Centro-Sud d’Italia si frequentano corsi di studio in misura maggiore rispetto al Nord. Al contrario, la partecipazione ai corsi di formazione risulta più alta nel Centro-Nord che al Sud.

I motivi che spingono a partecipare ad attività formative risiedono in interessi di tipo professionale piuttosto che personali (69% vs 31%). Tuttavia, il divario tra le due motivazioni, che negli ultimi anni si era fatto sempre più ampio, dopo la pandemia si riduce. Per cui diminuisce la quota dei corsi professionalizzanti e aumenta quella relativa ai corsi seguiti a puro scopo personale. In generale, sono gli occupati in primis, e poi le persone in cerca di lavoro, a frequentare almeno un corso di formazione in un’ottica di “up-skilling” o “re-skilling”. Ossia per ampliare o aggiornare le proprie competenze al fine di migliorare la propria condizione lavorativa.

Il livello partecipativo a corsi di tipo non formale varia a seconda dell’età e del livello di istruzione. Per cui risulta più alto tra gli under 54 con un alto grado di istruzione. Il titolo di istruzione incide sulla quota partecipativa: rispetto a chi possiede un livello di istruzione di base, il tasso di partecipazione ad attività non formali è di oltre tre volte e mezzo in più per chi possiede un livello di istruzione medio. E di otto volte e mezzo in più, invece, per chi ha un titolo di studio alto.

Adulti low skilled e formazione

Per quanto riguarda la partecipazione degli adulti con basse qualifiche alla formazione e il divario esistenti rispetto agli adulti altamente qualificati, il rapporto segnala che il gap tra queste due categorie rimane ampio e in Italia è addirittura cresciuto. Si definiscono “low skilled” gli individui con bassi livelli di istruzione, qualifica o competenze, inclusi coloro non inseriti nel mercato del lavoro, in particolare i disoccupati.

I dati Inapp Indaco-Adulti 2022 mostrano che solo il 39,3% degli adulti con basse qualifiche ha partecipato a corsi di formazione non formale. Contro il 60,4% di chi ha un’alta qualifica. Tra i fattori che influenzano la bassa partecipazione degli adulti low skilled vi sono la scarsa disponibilità a sostenere i costi della formazione, la condizione occupazionale e le limitate competenze digitali. Ad esempio, solo il 15% degli adulti con basse qualifiche è disposto a pagare per la formazione, rispetto al 39% di quelli altamente qualificati. Inoltre, il 14,9% dei disoccupati ha partecipato a un corso di formazione nei 12 mesi precedenti, contro il 65,2% degli occupati.

La formazione continua è meno accessibile per i disoccupati e gli inattivi, con tassi di partecipazione più bassi e minori risorse disponibili. I disoccupati hanno anche meno opportunità di formazione organizzata da aziende o organizzazioni. Il programma Garanzia Occupabilità dei Lavoratori nasce proprio per affrontare questa emergenza formativa con percorsi di riqualificazione e reskilling per i lavoratori lontani dal mercato del lavoro. Infine, la bassa partecipazione è aggravata dalle limitate competenze digitali degli adulti low skilled. Chi dichiara di avere scarse competenze digitali partecipa meno alla formazione rispetto a chi ha competenze sufficienti o elevate.

Il divario di partecipazione tra chi ha competenze digitali basse e alte è significativo: solo il 3,2% degli adulti con basse competenze digitali partecipa alla formazione in Italia.

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