di Virna Bottarelli |
Circa il 39% della popolazione adulta nel nostro Paese partecipa ad attività formative, percentuale inferiore agli standard fissati dalla Commissione Europea per la partecipazione all’adult learning: 47% entro il 2025 e 60% entro il 2030.
Il dato emerge dal rapporto “Formazione e lavoro: la situazione in Italia”, pubblicato qualche mese fa da Enzima12, venture builder che opera nei settori dei servizi per la formazione, il lavoro e l’EDTech. Come si legge nel rapporto, in Italia la propensione a realizzare interventi formativi cresce all’aumentare della dimensione aziendale. Le piccole e medie imprese spesso non hanno la capacità di offrire opportunità di formazione ai propri dipendenti. Si stima che solo l’11% degli adulti che lavorano in imprese con 10-49 dipendenti partecipano ad attività di istruzione e formazione non formale legate al lavoro. Nelle imprese con 50-249 addetti la percentuale sale al 13%, mentre è del 15% in quelle con più di 249 addetti.
Ostacoli agli investimenti in adult learning

Cosa frena tante nostre imprese dall’investire di più nella formazione dei propri dipendenti e collaboratori? È sempre, e solo, una questione di risorse disponibili? Secondo Fabrizio Gallante, Managing Partner di Enzima12 e della startup Studio 12Venture, la questione delle risorse è certamente rilevante, ma i problemi vanno oltre il semplice dispendio di denaro e tempo. “Le imprese italiane devono superare anche barriere culturali, organizzative e strategiche per allinearsi con gli standard europei in materia di formazione. In molte imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, la formazione viene percepita come un costo immediato, piuttosto che come un investimento a lungo termine, e questo approccio limitato porta spesso a non considerarla come prioritaria”.
Spesso manca, quindi, “una pianificazione strategica a lungo termine che includa la formazione come strumento chiave per la crescita e l’innovazione”, dice ancora Gallante. “Le imprese tendono a concentrarsi su soluzioni a breve termine per rimanere competitive, trascurando l’importanza di potenziare le competenze interne. E, ancora, le procedure legate all’accesso a finanziamenti per la formazione o ai fondi interprofessionali sono talvolta complesse e scoraggiano le aziende, in particolare quelle più piccole, dall’usufruirne”.
Tra gli altri motivi, anche la paura di perdere i dipendenti formati e la scarsa consapevolezza delle necessità formative. In quanto “molte imprese non percepiscono pienamente il divario tra le competenze attuali dei loro dipendenti e quelle necessarie per affrontare le sfide future. Con l’avvento delle nuove tecnologie, molte aziende non hanno ancora compreso appieno l’impatto della digitalizzazione e della necessità di aggiornare le competenze digitali dei propri lavoratori. Rimandando così l’adozione di piani formativi adeguati”. Discorso a parte, tutti i settori ad alta stagionalità o alta flessibilità, nei quali le aziende trovano poco conveniente investire in formazione nel lungo termine.
Che cosa possiamo suggerire alle imprese che vorrebbero fare formazione, ma lamentano l’impossibilità di farlo per mancanza di tempo e denaro?
Esistono diverse soluzioni e approcci per superare queste difficoltà. È importante utilizzare ad esempio i fondi interprofessionali, che offrono opportunità di finanziamento per la formazione dei dipendenti. Molte aziende non sono a conoscenza di queste risorse o non le sfruttano a pieno. Pertanto, suggerire alle imprese di iscriversi a questi fondi permette loro di accedere a corsi di formazione gratuiti o a costi ridotti, abbattendo il principale ostacolo economico. Ma si possono sfruttare anche incentivi e sgravi fiscali, stringere partnership con agenzie formative o altre aziende ed enti della filiera, per condividere costi e risorse.
Organizzare corsi interni, valorizzando il know-how già presente in azienda, magari con percorsi online fruibili in maniera sincrona, può ridurre significativamente i costi e il tempo necessario. Le piattaforme di formazione offrono grande flessibilità, permettendo ai dipendenti di seguire corsi in orari meno intensi o anche al di fuori dell’orario di lavoro, compatibilmente con le loro esigenze.
Si parla spesso di training on the job: quali vantaggi offre?
Il training on the job permette ai dipendenti di apprendere nuove competenze direttamente durante lo svolgimento del proprio lavoro, senza dover interrompere l’attività produttiva. Questo tipo di formazione consente di migliorare le capacità del personale senza richiedere risorse significative di tempo o denaro. Anche l’adozione di pratiche di rotazione tra ruoli e l’affiancamento tra dipendenti più esperti e quelli meno esperti può contribuire alla crescita professionale, senza dover ricorrere a costosi corsi esterni. Questo approccio aumenta la versatilità dei dipendenti e promuove la condivisione di conoscenze all’interno dell’azienda.
Rimane centrale promuovere una cultura aziendale orientata all’autoapprendimento, fornire ai dipendenti l’accesso a risorse online, libri o corsi di aggiornamento. Al fine di stimolarli a migliorare autonomamente le proprie competenze, senza richiedere grandi investimenti. Le imprese possono adottare soluzioni flessibili e innovative per superare le barriere economiche e di tempo legate alla formazione. Investire nelle competenze dei propri dipendenti, anche con risorse limitate, rappresenta una strategia fondamentale per la competitività a lungo termine.
Quali sono le principali lacune da colmare nella popolazione lavorativa italiana? Quali competenze vanno aggiornate con l’adult learning e come?
Le competenze da sviluppare e aggiornare sono diverse: digitali, trasversali, linguistiche, legate alla transizione ecologica, tecniche, manageriali, imprenditoriali, flessibili. Sicuramente una delle principali insufficienze riguarda le competenze digitali, che spaziano dall’uso di strumenti informatici di base fino alla padronanza di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, il cloud computing, e la gestione di dati complessi. Nonostante la digitalizzazione in corso, molte persone, soprattutto nelle fasce di età più avanzate, mancano di competenze tecnologiche aggiornate.
Le competenze trasversali riguardano le capacità di lavorare in team, di saper gestire il tempo, di avere un approccio problem solving, ma la comunicazione efficace e il pensiero critico. Molti lavoratori italiani eccellono in competenze tecniche, ma mancano di abilità relazionali o di leadership, fondamentali in contesti sempre più collaborativi e dinamici. Sulle competenze linguistiche, in particolare la padronanza dell’inglese, siamo ancora sotto alla media europea. Non sono poi da sottovalutare le competenze legate alla transizione ecologica e all’economia sostenibile, che sono sempre più richieste.
In settori tecnici e industriali, c’è una carenza di competenze in ambiti legati a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. L’Italia ha un basso numero di laureati in queste discipline rispetto alla media europea, nonostante la crescente domanda di professionisti. Le competenze manageriali e imprenditoriali, invece, non sono sufficientemente sviluppate. E molte Pmi faticano a competere su scala internazionale a causa di una carenza di competenze in gestione dell’innovazione, pianificazione strategica e internazionalizzazione.
Non meno importanti sono le competenze flessibili. La pandemia ha accelerato il bisogno di competenze per il lavoro da remoto, ibrido e, in generale, per la gestione del tempo in contesti flessibili. Ma molti lavoratori hanno ancora difficoltà ad adattarsi efficacemente a queste nuove modalità. Aggiornare tutte queste competenze richiede un approccio combinato di più fattori.
Da un lato è necessario implementare piani di formazione continua in azienda per tenere i lavoratori aggiornati sulle nuove tecnologie e sulle evoluzioni del settore, investire nel reskilling per coloro che rischiano di essere esclusi dal mercato del lavoro e nell’upskilling per chi è già attivo in settori che cambiano rapidamente. Dall’altro collaborare in partenariati pubblico- privati con istituzioni educative, università ed enti di formazione per creare percorsi formativi che rispondano alle reali necessità del mercato del lavoro. Incentivando l’uso di piattaforme digitali per rendere la formazione più accessibile. Con particolare attenzione a corsi brevi e flessibili, agilmente seguiti anche da chi lavora.
Infine, come si motiva un lavoratore con esperienza, che intravede la fine dell’età lavorativa, a dedicare del tempo alla formazione?
Motivare un lavoratore con esperienza che si avvicina alla fine della sua carriera a dedicare tempo alla formazione può essere una sfida. Ma ci sono strategie efficaci che possono stimolare il suo interesse e far emergere il valore di continuare ad apprendere. La chiave sta nel far leva sulla crescita personale e professionale, anche in una fase avanzata della carriera, riconoscendo il contributo passato e mostrando come le nuove competenze possano migliorare la qualità del loro lavoro e la transizione verso la pensione.
L’apprendimento, infatti, non è solo uno strumento lavorativo, ma può arricchire anche la vita personale e mantenere attiva la mente. Si può inoltre sottolineare l’importanza del trasferimento delle conoscenze, evidenziando come il ruolo di “guida” o “mentore” può dare un senso di missione e appagamento, facendo leva sulla capacità delle persone più esperte di lasciare un impatto duraturo in azienda. Questi lavoratori possono essere motivati se la formazione viene presentata come un modo per semplificare il loro lavoro, migliorare l’efficienza o evitare attività ripetitive.
Anche offrire flessibilità e personalizzazione nell’offerta formativa può essere una strategia efficace per farli sentire più liberi e non sopraffatti dall’idea di impegnarsi in programmi formativi intensivi. Si può anche incentivare con benefici concreti, come riconoscimenti formali, opportunità di lavoro flessibile o consulenziale anche dopo la pensione, oppure con maggiori benefit aziendali.
Tra le altre soluzioni si può valutare di creare un ambiente di apprendimento positivo, dove non esiste la “competizione” generazionale, rendendo la formazione rilevante per il futuro post-lavorativo. O, ancora, offrendo occasioni formali di riconoscimento pubblico per i loro anni di servizio, facendoli sentire parte integrante del futuro dell’azienda.