Giovani sfaticati? Non è davvero così

A sfatare il mito secondo cui i ragazzi di oggi non si mettono mai in gioco è la ricerca “Dopo il diploma”, realizzata da Skuola.net in collaborazione con ELIS intervistando 2.560 alunni delle scuole superiori

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Giovani sfaticati: contro il falso mito

Contrastiamo il falso mito dei giovani sfaticati: uno su due inizia a lavorare già alle superiori e solo uno su cinque vive nel mito del posto fisso.

Stai sempre sul telefonino: quante volte gli adulti rimproverano i figli contribuendo ad alimentare una serie di cliché sugli adolescenti di oggi, spesso etichettati come pigri, svogliati, per niente costruttivi. Sono proprio quelle ore passate sui social che, senza dimenticare chiaramente gli effetti negativi, stanno portando ai giovani una certa aspirazione imprenditoriale ed economica. A segnalare questa proattività nella Generazione Z, la ricerca “Dopo il diploma” realizzata da Skuola.net in collaborazione con ELIS.

Studenti-lavoratori: un modello diffuso

Uno sforzo, quello degli studenti-lavoratori, non certo giovani sfaticati, che spesso e volentieri si sviluppa durante tutto l’anno. In quel 54% che dice di dedicarsi a qualche tipo di attività retribuita mentre è impegnato con gli studi, il 23% parla di lavori che si svolgono anche nei mesi di scuola. La parte restante (31%), invece, li concentra esclusivamente nei periodi di pausa delle lezioni, in particolar modo d’estate.

I più volenterosi, su questo terreno, appaiono i maschi. La quota di studenti-lavoratori tra i ragazzi sale al 61%. Tra le ragazze ci si ferma al 51%, dato comunque rilevante soprattutto se si pensa a certi stereotipi di genere ancora persistenti. Inoltre, il darsi da fare non appare dettato tanto dalla necessità quanto dalla voglia specifica di “sporcarsi le mani” o di rendersi un minimo indipendenti. L’indagine ha anche osservato il comportamento dei giovani a seconda della famiglia di provenienza. E, passando da chi è più benestante a chi lo è meno, la propensione al lavoro subisce scostamenti minimi. Tra i più agiati è del 54%, in perfetta media, tra i meno abbienti è poco sopra, al 57%.

I “lavoretti” più diffusi

Più prevedibile, semmai, è il tipo di attività. 9 intervistati su 10 si dedicano ai classici “lavoretti”: cameriere, fattorino, rider, babysitter, istruttore, tutor di ripetizioni. Ma non è da trascurare quel 10% – tra i maschi 15% – che intraprende lavori innovativi aprendosi al mondo digitale. I più diffusi sembrano essere quelli legati al settore finanza (trading online, gestione criptovalute, ecc.), seguiti dai servizi online (sviluppo di app e siti web, cybersicurezza, big data, ecc.) e dall’e-commerce (compravendita di beni e servizi). Proprio i lavoratori digitali “in erba” portano con sé un ulteriore spunto di interesse. Quasi la metà di loro (49%) non esclude che tale attività possa diventare l’occupazione principale dopo la scuola.

Non giovani sfaticati ma ragazzi proattivi

Abbiamo dunque capito che la Generazione Z non cerca certezze a tutti i costi. Tra tutti gli intervistati, infatti, appena 1 su 5 dice che una volta completato il periodo di studi e di formazione punterà sulla sicurezza del “posto fisso”. Anche qui si conferma una certa, fortunatamente non enorme, preponderanza femminile verso strade note: il 22% delle ragazze contro il 18% dei ragazzi punta sull’italico mito del tempo indeterminato.

Ma se escludiamo un 33% che ancora non si è proiettato al futuro, si intuisce un netto cambio di rotta nella mentalità delle nuove generazioni. Quasi 1 su 4 sogna di diventare un imprenditore, provando a sviluppare una propria idea. E ben 2 su 3 pensano di aver già in mente l’intuizione giusta. Insomma la cultura delle startup e dei founder visionari sta attecchendo anche dalle nostre parti. Come del resto è un trend mondiale quello che vede la Generazione Zeta più attenta alla flessibilità. Infatti, il lavoro autonomo viene visto come possibile dimensione dal 23% del campione.

Lavoro autonomo e spirito imprenditoriale rappresentano i nuovi orizzonti lavorativi dei giovani, capovolgendo i capisaldi dei genitori”, fa notare Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net. “Tuttavia un conto è desiderare, un conto è riuscire. Le competenze di base per intraprendere questi percorsi non si improvvisano e non possono essere trasmesse solo dal background familiare. In questo senso è da accogliere positivamente l’introduzione di nuove linee guida sull’educazione civica, che sdoganano finalmente l’educazione finanziaria e l’avvicinamento alla libera impresa privata”.

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