Potenzialità e sfide dell’AI

Come emerge dal rapporto dell’Osservatorio 4.Manager, gli investimenti in tecnologie di Intelligenza Artificiale crescono del 30%, ma per il 55% delle aziende ancora mancano le adeguate competenze

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VI Rapporto 4.Manager

L’Intelligenza Artificiale possiede un potere trasformativo che sta ridefinendo ogni aspetto della società: dalla geopolitica al lavoro, dall’arte alla scienza, si moltiplicano le sfide dell’AI.

Tuttavia, solo l’intelligenza umana può realmente governare questa rivoluzione, guidando l’integrazione dell’AI in modo responsabile e sostenibile. Affrontando con determinazione le sfide etiche che ne derivano. È questa la visione che traccia il percorso di analisi del VI Rapporto dell’Osservatorio di 4.Manager “Intelligenza Artificiale. Cambiamento culturale e organizzativo per imprese e manager: nuove traiettorie della managerialità”, presentato a ottobre nell’apertura dell’anno accademico della Pontificia Università Antonianum.

Sfide dell’AI e valore dell’intelligenza umana

Il rapporto rivela che quasi 10mila imprese italiane hanno già adottato tecnologie di AI, con un balzo del 30% circa rispetto all’anno precedente. Evidenziando una domanda di competenze aumentata del 157% in 5 anni. Tuttavia, dietro questo progresso si celano divari e ostacoli significativi che richiedono investimenti non solo in tecnologie, ma soprattutto nelle competenze manageriali indispensabili per guidare l’innovazione.

“Sebbene l’Intelligenza Artificiale stia rivoluzionando il mondo delle imprese, il vero valore continua ancora a risiedere nell’intelligenza umana”, afferma Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager e di Federmanager. “I nostri sistemi produttivi sono miniere di saperi e abilità, in gran parte ancora inesplorate dall’AI, che aspettano di essere valorizzate. Però, a oggi, più della metà delle aziende identifica la mancanza di competenze digitali come il principale ostacolo all’adozione di queste tecnologie. Questo è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. L’investimento in formazione, purtroppo, è ancora insufficiente rispetto alla portata della trasformazione in atto. Le figure manageriali sono riconosciute come cruciali per gestire la nuova complessità, ma nell’ultimo anno meno della metà dei dirigenti ha avuto accesso a corsi di aggiornamento su questi temi. Se, come credo, deve essere l’intelligenza umana a guidare l’AI e non viceversa, è necessario un cambio di passo concreto, per rimettere al centro la persona e assicurarci un progresso sostenibile”.

Presentazione del VI Rapporto 4.Manager il 14 ottobre 2024 a Roma
Presentazione del VI Rapporto dell’Osservatorio 4.Manager il 14 ottobre 2024 a Roma

Un settore in espansione, ma disomogeneo

I dati del Rapporto, raccolti attraverso una combinazione di indagini campionarie e fonti istituzionali come Istat ed Eurostat, rivelano che a settembre 2024 circa 10mila imprese utilizzano o integrano l’AI nelle proprie linee di prodotto o servizio. Segnando un incremento del 30% circa rispetto all’anno precedente. Parallelamente, dal 2019 le richieste di professionisti con competenze in AI sono aumentate del 157%, segnalando un’espansione significativa della domanda in questo settore.

Il 2024 si profila quindi come un anno di svolta, con una crescita esponenziale di professionisti alle prese con l’AI, che passano da 40mila a oltre 300mila. Questo sviluppo è accompagnato da un significativo aumento della partecipazione femminile nel settore. Salita dal 30% a oltre il 40%, suggerendo un ruolo sempre più centrale delle donne nelle professioni Stem. Tuttavia, la diffusione dell’Intelligenza Artificiale nelle imprese italiane rivela una chiara disomogeneità tra le grandi aziende e le Pmi.

Le imprese di grandi dimensioni, grazie alle loro risorse e capacità di investimento, hanno un tasso di adozione dell’AI del 24%. Mentre solo il 5% delle piccole imprese è riuscito a implementare queste tecnologie. Le città che trainano la crescita, come Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli, sono i principali centri di adozione nei settori IT, sviluppo software e servizi di ricerca.

“L’Italia possiede un patrimonio unico di intelligenze umane, filiere produttive e risorse culturali, ancora in gran parte da valorizzare attraverso l’AI”, commenta Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager. “Se sapremo potenziare le nostre industrie, combinando competenze umane di alto livello con l’intelligenza artificiale, potremo incrementare enormemente la nostra capacità di generare valore, mantenendo quel Dna che ci rende competitivi e riconoscibili sui mercati globali”.

Mancanza di competenze digitali

I progressi quindi ci sono, ma accompagnati da importanti ostacoli. Nonostante la crescita esponenziale del numero dei professionisti impegnati con l’AI, la mancanza di competenze digitali rimane il principale freno. Identificato dal 55% delle aziende. Inoltre, nel 2023, solo il 46% della popolazione italiana possedeva competenze digitali di base, un dato inferiore alla media UE del 56%.

I costi elevati, in particolare per le Pmi e per le aziende del Centro-Sud, rappresentano un’altra barriera significativa, segnalata dal 50% delle imprese. Anche la disponibilità e la qualità dei dati per l’addestramento dei modelli di AI è un problema per il 46% di loro. Particolare attenzione meritano le considerazioni etiche, indicate come una difficoltà da 1 impresa su 4. Ostacoli culturali, come la scarsa chiarezza normativa e le preoccupazioni sulla privacy, completano il quadro delle difficoltà che frenano lo sviluppo dell’AI in Italia.

Formazione e profili strategici

Per affrontare le trasformazioni oggi imposte dall’Intelligenza Artificiale, l’Osservatorio 4.Manager evidenzia la necessità di un nuovo paradigma che metta al centro formazione continua, leadership forte e cultura aziendale orientata all’innovazione. Questi fattori sono cruciali per sbloccare il potenziale dell’AI, che oggi mostra un panorama frammentato. Il 45,7% dei dirigenti e manager e il 55,2% degli altri lavoratori non hanno mai seguito alcun corso di formazione specifica sull’AI nell’ultimo anno. Un significativo divario di competenze a tutti i livelli aziendali.

Non si tratta solo di quantità, ma anche di qualità: la formazione attuale non risponde pienamente alle sfide poste dall’AI. Con una valutazione media di efficacia di appena 3,3 su 5, i percorsi attuali sono percepiti come insufficienti. Questo scenario evidenzia l’urgenza di sviluppare programmi più mirati e di qualità. In grado di soddisfare le esigenze delle aziende italiane, alla ricerca di professionisti che uniscano competenze tecniche a leadership e gestione del cambiamento.

Tra i profili più richiesti spiccano l’AI Integration Specialist (18,6%), il Chief Data Officer (9,3%) e l’AI Strategy Director (8,9%). Oltre alle competenze tecniche specifiche, come la padronanza di AI, analisi dei dati, Machine Learning e Deep Learning, le aziende attribuiscono grande valore alle soft skill. Flessibilità al cambiamento, pensiero critico, capacità di problem solving e lavoro di squadra sono qualità indispensabili per affrontare le sfide della trasformazione.

“L’innovazione tecnologica è un motore dello sviluppo del Paese. Ed è fondamentale la capacità di guidare il cambiamento per assicurare alle imprese la disponibilità di competenze e di know-how adeguatamente formato. Per aiutarle a massimizzare le opportunità di investimenti in nuove tecnologie ed essere più competitive sui mercati nazionali ed internazionali. La trasformazione digitale è dirompente” ha evidenziato Alberto Tripi, Special Advisor di Confindustria per l’Intelligenza Artificiale. “Permette di creare valore a tutti i livelli, con effetti positivi sull’economia, sulla società e sulla qualità della vita di cittadini e lavoratori. L’Intelligenza Artificiale apre nuove e ampie opportunità, cambia, trasforma ma non distrugge il lavoro. Elevandone il livello qualitativo e aumentando i benefici, non soltanto per le imprese ma anche per gli stessi lavoratori”.

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