di Laura Ferrari |
Siamo in un’epoca in cui le competenze richieste dal mercato del lavoro variano velocemente. I dati statistici ne sottolineano la mancanza in numerosi settori con necessità di intervenire attraverso percorsi di formazione per colmare questo gap.
In questo articolo analizzeremo alcuni degli strumenti a disposizione per supportare la transizione in atto, in particolare focalizzandoci su quella tecnologica, accelerata anche dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Allo stesso tempo ci siamo chiesti fino a che punto le aziende, soprattutto le medio piccole, tengono monitorate le competenze della propria popolazione aziendale e quali sono i vantaggi della mappatura di tali competenze.
In fase di ricerca e selezione, così come in fase di inserimento lavorativo, vengono indagate le competenze dei candidati. Al fine di valutare l’idoneità e la compatibilità con una determinata posizione lavorativa. Ma quante sono le aziende che nel tempo effettuano una mappatura delle competenze della popolazione aziendale e la tengono aggiornata?
Questo è un passaggio strategico fondamentale di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Necessario sia in fase di programmazione dei percorsi di formazione e aggiornamento, sia per conoscere le competenze acquisite personalmente dai propri lavoratori e che, se note, potrebbero consentire all’azienda di valutare con maggior consapevolezza i piani di carriera interni. Bilanciando le necessità aziendali anche con la crescita dei livelli di soddisfazione dei lavoratori.
La mancanza di competenze
Viviamo la sfida delle nuove competenze anche su spinta dell’innovazione tecnologica. Questo porta con sé crescenti necessità di reskilling dei lavoratori, processo accelerato dall’Intelligenza Artificiale. Questo scenario si affianca anche al dato dell’invecchiamento della platea dei lavoratori, gli over 50 sono infatti più che raddoppiati nel mercato del lavoro e al contempo il numero dei giovani risente dell’inverno demografico. La risorsa lavoro è di fatto sempre più scarsa ed allo stesso tempo l’Intelligenza Artificiale sta cambiando gli equilibri, modificando i ruoli ma anche creando possibilità.
Facciamoci aiutare dai dati per comprendere meglio il contesto. Nel 2040 mancheranno 3,7 milioni di lavoratori: 6,2 milioni di giovani entreranno nel mercato del lavoro a fronte di 9,9 milioni di persone che andranno in pensione. Secondo uno studio di McKinsey, entro il 2030, in Italia circa 3,3 milioni di lavoratori potrebbero vedere i loro ruoli modificati o sostituiti dall’automazione e dall’IA. D’altra parte, l’IA e il digitale potrebbero creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in settori ad alta specializzazione. Come l’informatica, l’ingegneria del software, e i servizi professionali legati all’innovazione tecnologica.
Secondo il Desi 2023 (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea, il 42% degli italiani possiede competenze digitali di base o superiori. Un dato inferiore alla media europea del 54%. Il World Economic Forum prevede che, entro il 2025, il 50% delle attività lavorative a livello globale richiederà nuove competenze, molte delle quali saranno legate all’Intelligenza Artificiale e alle tecnologie digitali avanzate. Secondo i dati elaborati da Ester Dini, Responsabile Centro Studi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, ogni anno sono ricercati dalle aziende 1,277 milioni di figure specialistiche per l’innovazione (23% delle assunzioni).
Le figure più richieste
Tra le figure più richieste dal mercato troviamo tecnici programmatori, analisti e progettisti software, tecnici ed esperti in applicazioni, ingegneri industriali e gestionali. Inoltre, i lavori che richiedono creatività, intelligenza emotiva, empatia, pensiero critico e capacità di problem solving complesso sono quelli che resisteranno meglio all’automazione. Le competenze chiave saranno un mix di competenze tecnologiche avanzate e abilità umane profonde. L’integrazione tra lavoro umano e macchine richiederà figure professionali che sappiano sfruttare al meglio le potenzialità delle tecnologie, mantenendo al centro la componente umana.
I dati ci confermano lo scenario di un del mercato in evoluzione, in cui le competenze cambiano molto rapidamente e viene richiesto un grande sforzo di adeguamento delle stesse per poter rimanere competitivi. Anche la piccola – media impresa sta cambiando l’approccio alla formazione. Integrando quella obbligatoria con una formazione aggiuntiva, di taglio principalmente tecnico, ma anche trasversale. Questo scenario, che inevitabilmente comporta un grande investimento in formazione, deve necessariamente essere affiancato a un percorso di fidelizzazione dei lavoratori.
Il Fondo Nuove Competenze arriva alla 3^ edizione
In questa fase di transizione ecologica e digitale, tra gli strumenti messi in campo dal legislatore si inserisce il Fondo Nuove Competenze 3, che si pone l’obiettivo di accompagnare i processi di transizione digitale ed ecologica dei datori di lavoro. E di favorire nuova occupazione attraverso riconoscimento, da parte dell’Inps, di un contributo al costo del lavoro dei soggetti coinvolti in percorsi formativi di accrescimento delle competenze nella transizione digitale ed ecologica.
La terza edizione porta con sé diverse novità, ma per ragione di sintesi ci soffermeremo solo su alcuni aspetti. Il Fondo Nuove Competenze si rivolge ai datori di lavoro privati, incluse le società a partecipazione pubblica che abbiano sottoscritto (ai sensi dell’art. 88, comma 1 del D.L. n. 34/2020 e dell’art. 4 del D.L. n. 104/2020) con le rappresentanze sindacali accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro. Finalizzati a percorsi formativi di accrescimento delle competenze dei lavoratori.
Attraverso il Fnc le imprese hanno la possibilità di adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell’orario alla formazione. Il costo orario è finanziato per il 60% della quota retributiva e per il 100% della quota contributiva. Gli accordo collettivi, conformemente a quanto previsto dall’art. 88, comma 1, del Decreto-legge n. 34/2020 “Decreto Sostegni”, dovranno essere sottoscritti dalle rappresentanze sindacali operative in azienda. In assenza di rappresentanze interne, da rappresentanze territoriali delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. E, per le aziende aderenti a fondi, gli accordi devono essere stipulati secondo le modalità previste dal proprio fondo.
Negli accordi sarà necessario individuare i fabbisogni del datore di lavoro nei processi di innovazione, in termini di nuove o maggiori competenze e del relativo adeguamento necessario per qualificare e riqualificare il lavoratore in loro relazione. I progetti formativi dovranno essere pertanto finalizzati allo sviluppo delle competenze. Tra gli altri elementi indispensabili, il numero dei lavoratori coinvolti nell’intervento, il numero di ore dell’orario di lavoro da destinare a percorsi per lo sviluppo delle competenze, l’eventuale coinvolgimento di soggetti diversi dai lavoratori dipendenti e gli ulteriori elementi indicati dal Ministero del Lavoro nel relativo avviso pubblico.
Tra gli ambiti relativi ai fabbisogni di competenze nei processi di innovazione organizzativa, di processo e di prodotto, oggetto degli accordi collettivi di rimodulazione dell’orario, troviamo: sistemi tecnologici e digitali, introduzione e sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, welfare e benessere organizzativo, sostenibilità e impatto ambientale, ecc. Notiamo come il punto di partenza sia l’individuazione dei fabbisogni all’interno dei processi di innovazione. In termini di nuove o maggiori competenze e del relativo adeguamento necessario per qualificare e riqualificare il lavoratore. Si parte quindi dall’analisi delle competenze necessarie al datore di lavoro e parallelamente anche dalla mappatura delle competenze della popolazione aziendale. In questa nuova architettura, nella realizzazione della formazione, acquisiscono un ruolo centrale i fondi paritetici interprofessionali.
L’importanza della mappatura delle competenze
Mappare le competenze aziendali periodicamente è una prassi che andrebbe attuata non solo per esigenze normative. Ma perché consente alle aziende di avere una consapevolezza e una conoscenza superiori delle persone che vivono l’azienda. Oltre al fatto che si tratta di un passaggio indispensabile per riuscire ad adeguare le competenze in base alle mutevoli esigenze del mercato e rimanere quindi competitivi.
Un processo che permette di avere una visione chiara e aggiornata delle capacità, conoscenze e abilità presenti in azienda. Consente di identificare eventuali gap di conoscenze da colmare, ma al contempo anche di conoscere le competenze acquisite dai lavoratori autonomamente in ambito extra-lavorativo- L’azienda può identificare dipendenti con potenziale di crescita o che possiedono competenze utili in altri ruoli o aree. Questo facilita i processi di successione per i ruoli chiave e permette una mobilità interna più fluida. Riducendo la necessità di nuove assunzioni e migliorando la resilienza dell’organizzazione. Inoltre, mostrare interesse per competenze e sviluppo dei dipendenti aumenta il senso di appartenenza, il coinvolgimento e i livelli di soddisfazione personale.
In conclusione, l’azienda si evolve nel tempo e così anche le competenze richieste dal mercato. Conoscere le competenze è un passaggio cruciale per individuare le aree in cui l’azienda potrebbe non avere sufficienti conoscenze o capacità. Questo include sia competenze tecniche (hard skill) sia abilità trasversali (soft skill). Che potrebbero risultare fondamentali per affrontare sfide future o per avviare nuove iniziative. Dunque, per consentire all’azienda di affrontare con maggiore tranquillità i cambiamenti in atto, che inevitabilmente portano con sé tensioni e preoccupazioni.
Conoscere i fabbisogni formativi non è quindi solo una questione di aggiornamento professionale, ma rappresenta un investimento strategico che influisce sulla competitività, sulla sostenibilità e sulla crescita di un’azienda. Una corretta analisi dei fabbisogni consente di pianificare interventi formativi efficaci, di generare un ritorno concreto e duraturo. Trasformando la formazione da semplice voce di costo a leva strategica del valore.
Chi è Laura FerrariDopo la laurea in Economia all’Università Cattolica di Milano, Laura Ferrari si iscrive all’Ordine dei Consulenti del lavoro di Bergamo nel 2010. La passione per il diritto del lavoro l’ha portata a dedicarsi anche alla divulgazione, prima in una radio locale, successivamente ideando e conducendo la rubrica della web Tv dei Consulenti del Lavoro “Donne e Lavoro”. Nel novembre 2021 inizia una collaborazione con Rai 3, partecipando in veste di esperta della materia al programma di approfondimento “Il Posto Giusto”. Ai media ha affiancato anche l’attività di convegnistica e di scrittura, collaborando con alcune riviste di settore. |