di Andrea Crocioni e Mauro Meda | In un momento di grande trasformazione, caratterizzato dalla pervasività del digitale nella vita delle persone e delle imprese, l’Intelligenza Artificiale sta iniziando a ridefinire le dinamiche aziendali impattando sul mondo del lavoro: Gianmario Verona, professore di Innovation Management presso l’Università Bocconi e presidente della Fondazione Human Technopole, in questa conversazione ci offre uno sguardo privilegiato su come queste tecnologie stiano influenzando non solo i processi operativi, ma anche il modo in cui le aziende vengono gestite.
In questa intervista a Gianmario Verona, esploreremo quali competenze e qualità un leader moderno debba possedere per affrontare quello che è anche una svolta a livello di mindset, con un focus su valori umani, etica, e sul ruolo della formazione per guidare una “rivoluzione” che come ogni balzo tecnologico porta opportunità, ma anche inquietudini. La trasformazione digitale e l’adozione dell’Intelligenza Artificiale in contesti sempre più ampi stanno infatti rivoluzionando il panorama aziendale a livello globale, influenzando profondamente il modo in cui le organizzazioni operano.
Quali caratteristiche deve avere un leader d’impresa oggi per gestire quello che prima di tutto rappresenta un cambiamento culturale?
Quanto sta accadendo oggi non differisce molto da quanto è accaduto già qualche anno fa con l’avvento della Rete che ha cambiato radicalmente i processi di informazione e di consumo e che ha anche portato a una profonda trasformazione del modo in cui funzionano oggi le aziende. I grandi dati prodotti dall’Internet of Things e oggi l’Intelligenza Artificiale amplificano ancora di più quanto già accaduto e visto il potenziale soprattutto dell’IA generativa lo spingono verso orizzonti davvero sconosciuti.
Un leader moderno credo quindi debba avere, da un lato, sempre un forte ancoraggio al contesto e una forte attenzione a persone e competenze in quanto sono le persone che fanno e faranno sempre la differenza. Ma è fondamentale avere anche una sensibilità nei confronti dell’innovazione, in quanto il contesto tecnologico avrà un ruolo ancora più importante nei prossimi anni. Questa sensibilità, vista l’importanza della tecnologia di cui stiamo parlando, deve essere ancora più pronunciata che in passato. Ricordando sempre quanto diceva il compianto Peter Drucker ovvero che “la cultura aziendale mangia la strategia a colazione”.
In uno scenario in cui si affermano scelte strategiche “data driven”, quali sono i valori umani di chi deve guidare le organizzazioni che possono fare la differenza? Esiste un tema di natura etica?
Come accennavo, credo che le persone rimangano al centro delle istituzioni. Ancora di più oggi in un mondo in cui le macchine non solo sono intelligenti (computer e Rete lo erano già), ma con l’Intelligenza Artificiale le macchine diventano anche creative. Il punto è che devono essere guidate e occorre quindi governare il flusso dei dati che producono. Più che “data driven” cioè essere squisitamente guidati dai dati, credo che dobbiamo usare i dati per capire meglio le situazioni ed essere poi noi a guidare la macchina per elaborare strategie coerenti con quanto ci dicono i dati e quanto sappiamo e vogliamo fare.
Faccio l’esempio di un settore in cui più di altri sta avendo un impatto significativo l’AI generativa, quello delle life science. Se la macchina che elabora i dati ci permette di trovare percorsi “nuovi” nello sviluppo di un farmaco grazie a individuazioni di correlazioni che la mente e l’occhio umano non riuscivano a individuare, ben venga l’AI generativa. Certo è che poi per perseguire queste strade dobbiamo capire dove vogliamo e possiamo andare. In generale, il tema etico è fondamentale. Ma mi viene anche da dire che il tema etico è sempre stato centrale in economia e soprattutto nelle applicazioni di business.
Come a suo avviso l’AI può supportare i leader nel processo decisionale e nella gestione strategica delle aziende in quella che potremmo dire l’era dell’incertezza?
L’AI aiuta certamente a costruire scenari e a vedere cose a volte nascoste, come l’esempio appena citato. Aiuta anche a efficientare le decisioni. L’elaborazione delle informazioni è sempre stata molto costosa e relativamente lenta. Ora diventa più facile processare tante informazioni velocemente. Ma attenzione, occorrono sempre la mente umana e l’occhio critico. Per questo è fondamentale sviluppare le competenze, da un lato per gestire la macchina, ma dall’altro anche per saper comprendere e commentare criticamente il suo operato. Se no si cade nella trappola delle “bolle” dei social network e delle potenziali fake news. Vale anche per il business.
Diversity e inclusion rappresentano temi fondamentali: l’AI può però diventare un ostacolo all’inclusività, riflettendo talvolta bias e pregiudizi di un settore a prevalenza maschile. Come superare questa problematica?
I bias di inclusività dell’AI sono noti sin dai primi risultati prodotti dalla AI generativa. L’AI generativa è una forma di linguaggio basata su quanto legge in rete. E il linguaggio è per definizione “biased”. Diversi ricercatori si sono adoperati sin da subito per cercare di porre un limite a questo problema. Ad esempio, un ricercatore in Bocconi ha vinto recentemente proprio un European Research Council grant per studiare e capire come integrare positivamente i fattori demografici nell’AI. C’è strada da fare, ed è per questo che è fondamentale mantenere quella forma di pensiero critico che aiuta a commentare e criticare l’elaborato dell’AI.
All’interno delle imprese quali sono gli elementi che possono aiutare le persone ad abbracciare il cambiamento? Gen Z, Millennial e Gen X potrebbero essere ambassador di un’AI consapevole?
La generazione Z lo è già certamente. Lo vediamo con le difficoltà di gestirla in aule accademiche in questi anni. Per loro è naturale fare multitasking con gli strumenti digitali durante la lezione e porre quesiti a ChatGpt prima della sessione. Lo sarà ancora di più la Alfa – i nati a cavallo del 2010 che a breve saranno maggiorenni e che hanno il digitale come parte del loro Dna cognitivo. Sono più scettico sulle generazioni Y (coloro che avevano 18 anni nel 2000) e soprattutto la generazione ancora prima, la X, che alla fine ha vissuto la tecnologia digitale come qualcosa di profondamente diverso e nuovo. E che tuttora sta “combattendo” per integrare il digitale nella vita quotidiana e, se ricopre posizioni da manager, per integrarla nei processi aziendali. Per aiutare queste generazioni “follower” occorre tanta formazione, come hanno fatto e stanno facendo diverse aziende.
Le Pmi sembrerebbero in maggior difficoltà nell’affrontare la sfida dell’AI. Se condivide questa valutazione quali suggerimenti darebbe a imprenditori e manager che rappresentano oltre il 92% delle imprese italiane?
Anzitutto renderli consapevoli che l’AI è semplicemente il prosieguo della digital transformation. In Italia abbiamo parlato di Industria 4.0 qualche anno fa. Beh, vediamo l’AI come un qualcosa di evolutivo e non di straordinariamente differente da quanto già fatto, anche perché per approcciarla occorrono competenze non dissimili. L’impatto sarà dirompente, dicevo prima, ma da un punto di vista delle competenze occorre proseguire un percorso naturale di presidio di una tecnologia intelligente che oramai fa parte delle funzioni aziendali. Fare marketing e finanza, giusto per fare un paio di esempi, senza AI, sarà a breve desueto. Occorre quindi non avere paura e investire per anzitutto capirne il potenziale e poi attrezzarci per affrontare il cambiamento.
Qual è il ruolo delle istituzioni formative nel preparare i futuri leader ad affrontare le sfide? La strategia vincente sarà coniugare management e AI computing science?
Credo di aver impiegato in diverse risposte la parola formazione. Lo ho fatto perché formazione è la parola chiave. E certamente università e business school devono farla propria per aiutare a comprendere la strada e il percorso di adozione. Unire management a computer science e computing science non solo è fondamentale, ma è proprio quello che serve. Alla fine, computer e AI sono strumenti “generalisti” e per applicarli efficacemente occorre la verticalità del management con le sue funzioni. Abbinare le due cose è proprio fondamentale.
La Bocconi ha immaginato qualche anno fa un passo importante in questa direzione e mi fa piacere osservare come oggi molte università vadano nella stessa direzione e molte business school siano diventate proattive in proposito. Ma, mi permetta di aggiungere anche una terza istituzione formativa, forse la più importante: la scuola. Così come la rete e il digitale sono parte del nostro quotidiano, lo sarà l’Intelligenza Artificiale, in parte lo è già. Sarebbe bizzarro non aiutare le ragazze e i ragazzi ad acquisire le competenze sin da subito per alfabetizzarsi con la programmazione e con anche il risvolto critico ed etico che l’AI porta con sé.
Chi è Gianmario VeronaGianmario Verona detiene la cattedra Romeo ed Enrica Invernizzi di Innovation Management presso l’Università Bocconi, ateneo di cui è stato rettore tra il 2016 e il 2022. La sua attività di ricerca e insegnamento è focalizzata sul tema della gestione dell’innovazione e della tecnologia con particolare focalizzazione sull’impatto della trasformazione digitale e dell’intelligenza artificiale. Gianmario Verona è attualmente Presidente della Fondazione Human Technopole, l’Istituto di ricerca di base per le scienze della vita, sito nel Milan Innovation District (Mind). |
* L’intervista a Gianmario Verona di Andrea Crocioni e Mauro Meda è stata pubblicata sul numero di settembre 2024 del magazine FormaFuturi