Smart working parziale, tecnologia e benessere: terza via per un modello integrato?

Mentre in Usa le grandi aziende richiamano i dipendenti in sede, in Europa si fa strada la tendenza opposta della lotta al presenzialismo. Quale delle due è la strategia migliore? Né l’una, né l’altra. Matteo Musa, CEO e Co-Funder di Fitprime, indica una "terza via" che integra smart working parziale e tecnologie

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Smart working parziale e benessere dei dipendenti

Smart Working: tra il dietrofront di Amazon e Jp Morgan e il modello Roma per il Giubileo c’è una terza via che potrebbe chiamarsi smart working virtuoso, frutto dello smart working parziale e delle tecnologie avanzate.

Dal 2020 abbiamo iniziato a credere che fosse possibile adottare in maniera incondizionata modalità di lavoro flessibili. Molte aziende e istituzioni avevano rivisto le strategie sul futuro del lavoro da remoto. Poi, però, con il ritorno alla normalità e le riaperture graduali, anche lavorare da casa è tornato a essere un’eccezione. Non solo in Italia. Recentissimo l’annuncio di Jp Morgan, che segue quello di Amazon sulla fine dello smart working per i dipendenti in Europa e negli Stati Uniti. Dal 2025 devono tutti tornare in ufficio cinque giorni alla settimana. La scelta, apparentemente drastica, si fonda sulla giustificazione dell’esigenza di migliorare collaborazione e produttività. Altri colossi tech (come Alphabet) ne stanno seguendo l’esempio.

Eppure, negli stessi giorni, dall’altra parte dell’Atlantico, il Comune di Roma promuoveva il ricorso al lavoro agile per i dipendenti, anche al fine di ridurre il traffico e migliorare la qualità della vita. L’Europa sta vivendo una battaglia contro il presenzialismo, ovvero l’idea che essere fisicamente presenti equivalga automaticamente a essere produttivi. In Regno Unito, Jonathan Reynolds, segretario di Stato per gli affari economici, l’energia e la strategia industriale, vuole presentare un disegno di legge sui diritti dei lavoratori che, tra le altre cose, renderà il lavoro flessibile un diritto predefinito.

Due visioni estreme che, a ben vedere, non offrono soluzioni efficaci. Esiste una “terza via”? Una strada che riesca a bilanciare innovazione tecnologica, benessere dei dipendenti e performance aziendali? Probabilmente sì, e sta nel mezzo.

La terza via dello smart working virtuoso

La soluzione abbraccia la tecnologia e il benessere dei dipendenti in modo equilibrato, senza dimenticare la produttività. Di certo, c’è una tendenza che non può essere ignorata: il 98% dei lavoratori vorrebbe continuare a fare smart working parziale per il resto della propria carriera (Buffer | State Of Remote Work 2023). Il futuro del lavoro è ibrido, come attestano anche studi diversi.

Noi siamo dello stesso avviso: una formula ibrida con 2 giorni in presenza può funzionare. Ovviamente parliamo di lavori di ufficio: non tutte le attività possono essere svolte in remoto ed esistono lavori di cura e assistenza (scuola, ospedali, tribunali, servizi pubblici) che richiedono la presenza quotidiana. Oggi il 49% dei lavoratori in ufficio a livello globale lavora con una modalità ibrida, il 35% lavora a tempo pieno in ufficio e il 17% lavora interamente da remoto. Tuttavia, il 66% preferirebbe una modalità di lavoro ibrida (Future Forum, 2022).

Il lavoro remoto “corretto” fa bene a tutti

Il lavoro da remoto, se adeguatamente supportato, comporta vantaggi anche per le aziende. Un’indagine condotta nel 2024 dall’Office of Productivity and Technology degli Usa rileva una relazione positiva tra produttività totale dei fattori e lavoro a distanza. Un’altra analisi di Cisco segnala che riduzione dei tempi di commuting e maggiore flessibilità migliorano la produttività per il 60% dei lavoratori. Anche il benessere fisico e mentale ha registrato miglioramenti: il 69% dei dipendenti che riferisce una qualità di vita migliore e il 78% che afferma di fare più esercizio fisico.

Inoltre, secondo il Work Wellbeing 100 index, le imprese che registrano alti livelli di investimenti in wellbeing sovraperformano gli indici delle migliori società quotate. Purtroppo non è un indice su cui si possa investire, ma se avessimo investito nelle aziende incluse a gennaio 2021, il rendimento sarebbe stato dell’11% superiore a quello dell’S&P 500 entro luglio 2024.

Smart working parziale e supporto tecnologico

Un sondaggio del 2023 di FlexOS ha evidenziato che il 78% dei manager crede che una gestione efficace aumenti la produttività e che l’assenza di interazioni faccia a faccia possa essere una sfida. In aggiunta, la formazione specifica aiuta i manager a gestire meglio i team virtuali. Circa il 50% che vorrebbe ulteriore preparazione su questo tema per una gestione più efficace.

Le aziende che finora hanno avuto maggiore successo nell’implementare il lavoro da remoto hanno investito in tecnologia avanzata e formazione mirata per i manager. Il supporto dei manager aumenta motivazione e coesione del team. Migliorando l’esperienza del lavoro remoto e il coinvolgimento dei dipendenti: è la tesi dello studio condotto durante la pandemia “Skills and abilities to thrive in remote work” di Henke, Jones e O’Neill.

Gli autori identificano alcune competenze essenziali per il successo nel lavoro da remoto:

  • capacità di comunicazione efficace tramite strumenti digitali,
  • gestione autonoma del tempo e delle priorità,
  • adattabilità e resilienza nel rispondere a nuove modalità operative;
  • collaborazione virtuale;
  • mantenimento della motivazione e del coinvolgimento.

L’adattamento non è in ogni caso automatico. Poi, non per tutti i settori lo smart working funziona allo stesso modo e molto dipende dal grado di digitalizzazione che è molto diverso tra un comparto e l’altro. I settori tecnologico e di consulenza, orientati al raggiungimento di obiettivi specifici, hanno generalmente abbracciato il lavoro da remoto con successo. Fino all’85% dei lavoratori in questi settori ritiene di poter gestire in modo autonomo la produttività. Questa percentuale è influenzata dal fatto che questi settori spesso dispongono già di infrastrutture e strumenti digitali avanzati. Per i settori come ingegneria civile e pubblico, invece, la trasformazione è più complessa e richiede un cambiamento culturale profondo.

Esempi di successo

PwC ha implementato un sistema di lavoro ibrido che consente ai dipendenti di scegliere quando lavorare da casa o dall’ufficio. Microsoft, invece, ha investito in tecnologie che permettono di mantenere team connessi e produttivi anche a distanza. Spotify rappresenta un esempio di approccio completamente flessibile. Katarina Berg, direttrice delle risorse umane, ha spiegato che la filosofia dell’azienda è orientata alla fiducia e alla flessibilità. Si tratta di aziende tutte del mondo digitale, che chiaramente non rappresentano un benchmark assoluto. Un caso recente è Ubisoft, società di videogiochi francese, i cui dipendenti hanno ottenuto il “3+2,” cioè tre giorni in ufficio e due a casa.

Per far funzionare davvero lo smart working, serve equilibrio tra tecnologia e benessere. Non si può pensare di trasferire migliaia di dipendenti in modalità full remote senza costruire infrastrutture adeguate e, soprattutto, senza formare i manager su come gestire persone e team da remoto.

Un’occasione persa?

L’Italia ha perso l’occasione di evolvere verso un modello di smart working parziale e virtuoso? Probabilmente. Ma non è mai troppo tardi per invertire la rotta. Amazon e Roma rappresentano due visioni estreme. La verità è che lo smart working può funzionare solo quando ci sono una strategia chiara, un’infrastruttura tecnologica solida e una gestione orientata a benessere e obiettivi. Se vogliamo un futuro del lavoro davvero smart, dobbiamo investire in innovazione, formazione e, soprattutto, nuovo mindset.

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