Nuovi paradigmi del lavoro: cifre e riflessioni

In uno scenario che da tempo si è allontanato da quello tipico del Novecento industriale, il welfare aziendale potrebbe essere un elemento integrante di nuovi paradigmi del lavoro

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welfare aziendale potrebbe essere un elemento integrante di nuovi paradigmi del lavoro

Numeri su cui riflettere arrivano anche dall’Osservatorio Edenred, società la cui piattaforma digitale collega oltre 60 milioni di utenti e oltre due milioni di affiliati in 45 Paesi, che segnalano concretamente l’avvento di nuovi paradigmi del lavoro.

Attraverso le soluzioni digitali, le aziende mettono a disposizione dei dipendenti degli strumenti per gestire la pausa pranzo, il tempo libero, la cura della persona e la mobilità. Ogni anno l’azienda fotografa lo stato del welfare aziendale nel nostro Paese. Per il 2023, il credito welfare pro capite, ossia la disponibilità media di spesa per ciascun beneficiario, è stato pari a 910 euro. Nel 2022 era stato di 940 euro e nel 2021 di 850. Va detto che il 2022 era influenzato dal provvedimento che a fine anno aveva innalzato il limite di spesa dei Fringe Benefit a 3.000 euro. Misura poi non confermata nel 2023.

Il welfare Edenred nel 2023

Tornando allo scorso anno, il 54% del campione ha beneficiato di un’erogazione fino a 500 euro. Il 19% tra i 500 e i 1.000 euro, il 16% tra i 1.000 e i 2.000 euro, il 6% tra i 2.000 e i 3.000 euro. Mentre solo nel 5% dei casi sono stati erogati più di 3.000 euro. Quelli che stanno meglio sono i dipendenti del settore servizi finanziari. Percepiscono mediamente 1.683 euro, seguiti da chi lavora nell’ambito dei servizi professionali con 1.181 euro e nell’immobiliare con 1.117 euro. Per l’industria e il manifatturiero, il campione più ampio per numero di imprese e beneficiari, la quota media è di 693 euro.

Che cosa includono i pacchetti welfare? Prevalgono i fringe benefit con il 31,8% del totale. Seguiti dall’area ricreativa con il 29,5%. Seguono i capitoli della macroarea sociale, come istruzione (19,6%), previdenza integrativa (9%), assistenza sanitaria (5%) e assistenza ai familiari (1,2%). Insieme, compongono il 34,8% della spesa complessiva.

All’Osservatorio Edenred è abbinato un sondaggio a cura di Bva Doxa sul sentiment dei lavoratori. Prendendo in esame il personale di medie e grandi aziende con almeno 50 dipendenti. Il 42% degli intervistati dichiara che la propria azienda ha adottato un piano di welfare strutturato, contro il 46% che invece non lo ha previsto. La percentuale di chi ha un piano di welfare sale al 53% tra le aziende con oltre mille dipendenti (soprattutto multinazionali). Collocate nelle regioni del Nord Italia (46%), nel settore privato (51%).

Il 41% dei dipendenti, in particolare, dichiara di ricevere i buoni pasto (per un valore medio di poco inferiore ai 7 euro), che anche nel 2024 si conferma in assoluto il benefit più erogato dalle aziende. Seguito da servizi per la salute (31%) e da convenzioni e scontistiche (25%). Proprio il buono pasto, d’altra parte, riveste un ruolo fondamentale nella soddisfazione e nel benessere delle persone: un dipendente su due lo ritiene il benefit più utile per le proprie esigenze. Seguito dai buoni benzina (41%) e dai servizi per la salute (38%). I dipendenti che fruiscono di piani di welfare segnalano un elevato benessere lavorativo ed emotivo e si sentono responsabilizzati e apprezzati.

Lo stipendio da solo non basta più

Anche SD Worx, fornitore europeo di servizi HR, ha commissionato nei primi mesi del 2024 un’indagine in 18 Paesi europei, Italia inclusa. Per capire come sono composti i pacchetti retributivi e quali sono le aspettative dei dipendenti. I risultati, per quanto riguarda i nostri connazionali, dicono che per oltre sei dipendenti su dieci lo stipendio è il fattore più importante nella scelta e nella permanenza lavorativa in un’organizzazione.

Allo stesso modo è sempre lo stipendio il motivo principale per lasciare un’azienda. Ci sono però altri fattori da tenere in considerazione per un’azienda che voglia mettere davvero le persone al primo posto. I tipi di compenso più comuni che i dipendenti europei ricevono sono uno stipendio fisso (80,6%), orari di lavoro flessibili (50,3%) e giornate di studio o formazione (39,4%). Un quarto dei dipendenti (24,5%) riceve un salario variabile.

Quando si parla di pacchetto retributivo nel complesso, però, sono meno di tre su dieci i dipendenti italiani che si reputano soddisfatti. Solo per il 26,5% degli italiani uno stipendio fisso risulta l’elemento maggiormente apprezzabile del proprio pacchetto retributivo. Il 41,8% ha indicato i buoni pasto come una delle forme di compensazione preferenziali. Seguiti da orari flessibili (36,1%) e copertura delle spese per il carburante (31,2%).

Come spiega Bert De Vriendt, Country Leader di SD Worx Italia: “La retribuzione non è solo denaro o beni materiali. Agli occhi dei dipendenti contano anche elementi come la flessibilità dell’orario di lavoro e un’atmosfera di lavoro piacevole. Mi piace chiamarlo l’Abc di una politica retributiva: Atmosfera, Benefici e Compenso. Il denaro o i benefici aggiunti non sono le uniche ragioni per cui le persone scelgono o rimangono in un’organizzazione”.

Interessante è anche vedere come i lavoratori italiani giudicano le policy retributive delle proprie aziende. Solo tre dipendenti su dieci (30,3%) ritengono che la loro organizzazione fornisca una comunicazione sufficiente sulla politica retributiva (la media europea è del 37%). “Assistiamo a un crescente grado di personalizzazione del rapporto datore di lavoro/dipendente. Per questo motivo è importante adattare la propria politica retributiva in modo da soddisfare il più possibile le esigenze specifiche di ciascun dipendente”, dice ancora De Vriendt. “Attualmente, solo il 17% dei dipendenti italiani può definire la composizione del proprio pacchetto retributivo, mentre il 50% vorrebbe avere un piano maggiormente flessibile”.

Welfare e nuovi paradigmi del lavoro

Come dimostra l’abbondanza di studi e ricerche sul tema, il welfare aziendale è un trend topic per chi si occupa del mondo del lavoro. Un ultimo spunto di riflessione lo offre Michele Tiraboschi nel settimo rapporto sul welfare di Adapt. La crescente attenzione verso forme di welfare private è spesso stata spiegata, secondo Tiraboschi, come una conseguenza della conclamata crisi del welfare pubblico. O come espressione della responsabilità sociale d’impresa, stimolata anche dagli incentivi fiscali.

Il coordinatore scientifico di Adapt, però, avanza un’altra interpretazione. Secondo la quale la progressiva diffusione del welfare aziendale è “un processo spontaneo, per questo  ancora disorganico e frammentato, di risposta degli attori del sistema di relazioni industriali – e in seconda battuta del legislatore – alle profonde trasformazioni che stanno attraversando il mondo del lavoro”. In uno scenario che da tempo si è allontanato da quello tipico del Novecento industriale, quindi, il welfare aziendale potrebbe essere un elemento integrante di nuovi paradigmi del lavoro. E, perché no, un punto di ripartenza per un dialogo proficuo tra le parti sociali, in un percorso verso una società davvero moderna, inclusiva e sostenibile.

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