di Antonio Lucchini | Se il lavoro è la parte di vita che ci impegna maggiormente, perché dovremmo farlo in modo malsano, “stando male” e sotto stress, senza alcuna soddisfazione? Torniamo a parlare di benessere organizzativo.
Il movente del “guadagno per vivere” gioca sicuramente un ruolo fondamentale, ma questa equazione può essere realizzata creando le condizioni per un ambiente di lavoro gradevole. Dove si vada volentieri e non controvoglia, dove l’incontro con altri colleghi sia piacevole e di crescita. Perché lavorare obtorto collo in condizioni non ottimali per la propria salute mentale e fisica è qualcosa che assomiglia molto alla tortura.
Eppure ci sono ancora molte situazioni e sacche di disagio, che sono probabilmente più di quelle armoniose, e tra le dinamiche più stridenti c’è proprio quella con cui si tenta di “far combaciare esigenze organizzative ed esigenze personali”. Vediamo perché.
L’equilibrio persona-lavoro
Tradizionalmente le aziende hanno sempre lasciato da parte la dinamica personale, per due ordini di motivi: è complicato definire e affrontare problemi personali che esulano dalle competenze lavorative, perché non rientrano in un sistema organizzativo chiaro. Secondo, le aziende, interessate principalmente alla produttività, trovavano difficile considerare gli elementi personali senza comprometterla.
Il tema è scottante e di grande attualità. Ma va affrontato con le pinze, alla ricerca di un equilibrio sobrio che tenga presente entrambi gli aspetti senza che uno o l’altro prevarichi. Organizzazione sì, ma nel rispetto della dignità e delle esigenze di ogni singolo collaboratore. Viceversa, anche le dinamiche personali non dovrebbero inficiare oltremodo le esigenze aziendali. Si tratta in fondo di un equilibrio sensato, che una buona governance in grado di gestire le situazioni può ragionevolmente ottemperare. Ma anche la migliore delle governance ha bisogno degli strumenti giusti per farlo.
Gli strumenti per la governance
Ecco il senso della spinta verso i criteri Esg, che oggi impegnano le dinamiche aziendali e che pongono la voce Social, che comprende dunque il benessere organizzativo, come uno degli asset dominanti. Per affrontare questo aspetto, le normative volontarie, Iso e non, hanno sviluppato una serie di proposte ricche di requisiti, che possono aiutare e sostenere le imprese nello sviluppo di dinamiche più attente al clima aziendale e che sostengano le priorità dei singoli collaboratori.
Parità di genere, inclusione, etica, rispetto, integrazione delle diversità, dignità. Il sorgere di una terminologia nuova nel gergo manageriale è frutto di una maturazione di concetti già sufficientemente diffusi, anche se non ancora maturi dal punto di vista culturale. Siamo di fronte allo sviluppo di un processo lento, che propone nuovi paradigmi che devono essere metabolizzati da un mondo del lavoro assorbito da produttività ed efficienza. La completa implementazione non può che avvenire col tempo.
Benessere organizzativo: da dove partire?
Una proposta concreta deve e può essere fatta, affinché l’impresa possa agire bene e meglio. Creando un ambiente di lavoro positivo in cui i collaboratori possano lavorare in salute fisica e mentale. Il primo lavoro da fare è sul clima aziendale. Tutte le priorità vanno riviste alla luce della salute generale: avere collaboratori in grado di svolgere i compiti in un ambiente positivo e accogliente è il primo task da raggiungere.
Comunicare in modo trasparente, coinvolgendo tutta la struttura nei riguardi della mission aziendale, è l’humus fondamentale perché il “buon clima” attecchisca. Lavorare su coesione e unità di intenti, rendendo partecipi i collaboratori rispetto agli obiettivi da raggiungere secondo i valori dell’azienda, permette di ottenere vantaggi indiscutibili anche sul fronte delle tanto conclamate “produttività ed efficienza”.
In azienda come nello sport
Oggi più che mai il parallelismo con lo sport è utile e attuale, con le necessarie e obbligatorie distinzioni. Il manager è l’allenatore: la creazione di un ambiente di lavoro armonioso richiede tempo e risorse da dedicare ai collaboratori. Ma anche tempo e risorse da dedicare alla formazione personale e allo sviluppo di sensibilità nuove.
Una figura intermedia di gestione delle risorse umane è auspicabile. Anche se, considerando la dimensione media delle imprese, è difficilmente sostenibile. Non tanto per un problema di costi, quanto piuttosto per una relazione personale e organizzativa tra manager e collaboratori che, nei team ridotti, è immediata e sotto certi punti di vista facilitata. A patto, naturalmente, che la governance sia sensibile e addestrata alla gestione di produttività ed efficienza mixata all’attenzione per la sfera delle dinamiche personali.
La Iso del benessere aziendale
Le norme Iso da sempre promulgano uno sviluppo attento ai collaboratori. Nella convinzione che un ambiente di lavoro positivo abbia ricadute rilevanti anche su produttività ed efficienza. Se letta con un approccio non formale, ma orientato alla sostanza, la Iso 9001 può diventare una guida pratica per favorire il benessere aziendale.
I suoi requisiti fondamentali, come la centralità del cliente e il miglioramento continuo, possono essere reinterpretati per includere i collaboratori come stakeholder chiave. Ponendo l’accento su aspetti come: clima aziendale positivo, comunicazione trasparente e coinvolgimento attivo. Il focus sul miglioramento continuo previsto dalla Iso 9001 può essere declinato non solo nei processi produttivi, ma anche nella gestione delle risorse umane. Garantendo un adattamento costante alle esigenze evolutive dei collaboratori.
Partire dalle cose semplici, preconizzate dai requisiti normativi, è un bel presupposto, che va affrontato con la mente aperta ai nuovi scenari. Restare ancorati a vecchi schemi non paga e se le priorità personali di ogni collaboratore cambiano, le organizzazioni, fatte di donne e di uomini, devono adattarsi. È la resilienza delle organizzazioni la vera variabile competitiva di oggi: la capacità di adattamento a nuove regole e dinamiche esterne, ma in modo rilevante anche interne. È qui che si distingue la volontà di una governance attenta a creare il giusto cocktail tra le esigenze organizzative e quelle dei collaboratori.
Felicità organizzativa e progresso equo
L’attenzione al benessere organizzativo non riguarda solo la conformità alle norme, ma rappresenta un cambiamento culturale profondo. Le aziende che adottano queste pratiche con convinzione contribuiscono a un modello di progresso più sostenibile, dove il successo economico va di pari passo con il rispetto della dignità e delle esigenze umane. Questo approccio è in linea con l’idea di una felicità organizzativa che separi il concetto di benessere dalla pura crescita economica, aprendo la strada a un futuro lavorativo più equo e armonioso. Ma qui si apre un altro capitolo.
* Antonio Lucchini è AD della divisione italiana di SQS, Associazione Svizzera per la certificazione dei Sistemi di Qualità e di Management.