di Cesare Damiano |
La chiave di volta per battere la pandemia è la vaccinazione di massa. A questa semplice convinzione siamo arrivati dopo percorsi lunghi e tortuosi nei quali si sono mescolate, di volta in volta, le questioni delle aperture-chiusure accanto a quelle sulla possibile obbligatorietà della somministrazione del vaccino anti Covid-19 alla comunità lavorativa.
Evitando di riproporre pedissequamente le svariate posizioni emerse, basti dire che il terreno di confronto è ampio e si è polarizzato principalmente sulla possibilità di configurare tale obbligo o attraverso l’emanazione di una specifica disposizione o, invece, attraverso le disposizioni vigenti a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 2087 c.c., art. 20 d.lgs. n. 81/2008, lettura in combinato disposto degli artt. 279, commi 1 e 2, e 42 del TU), nel pieno rispetto della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 32 della Costituzione.
L’obbligo di vaccinazione
A placare il dibattito è stato l’auspicato intervento del legislatore che, con l’art. 4 del d.l. 44 del 1° aprile 2021, ha introdotto l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali. Obbligo imposto fino alla completa attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars- CoV-2, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. Il legislatore ha stabilito, altresì, una dettagliata procedura per la sua concreta operatività, oltre che per l’adozione di specifiche misure in caso di inottemperanza. Personalmente, ritengo giusto che coloro che hanno a che fare con la vaccinazione, così come con le strutture sanitarie, debbano sottostare a tale obbligo. Ritengo altresì opportuno il riconoscimento del cosiddetto “scudo penale” per coloro che somministrano il vaccino.
È assolutamente corretto evitare che ci siano conseguenze per il medico o l’infermiere che somministrano un vaccino validato dall’Ema e dall’Aifa – l’Agenzia Italiana del Farmaco – nel caso che la somministrazione stessa abbia conseguenze sulla salute del paziente. Distinguendo, ovviamente, l’evento ascrivibile alle conseguenze di una corretta somministrazione del vaccino dai casi di negligenza, di cattiva professionalità e di non rispetto delle regole.
La vaccinazione sul lavoro
In tema di vaccini, è apparso come un segno positivo anche l’accordo raggiunto tra le istituzioni e le parti sociali per quanto riguarda la possibilità “aggiuntiva” di svolgere le vaccinazioni nei luoghi di lavoro.
Il riferimento è al Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro, siglato il 6 aprile 2021, che ha riconfermato la base volontaria dell’adesione per la generalità dei lavoratori, al di la dell’obbligo statuito dal legislatore.
L’iniziativa costituisce un’attività di sanità pubblica, che si colloca nell’ambito del Piano strategico nazionale per la vaccinazione anti Covid-19, e grazie alla quale potranno essere vaccinati tutti i lavoratori che, a prescindere dalla tipologia contrattuale, prestano la loro attività in favore dell’azienda e che ne abbiano fatto volontariamente richiesta, nonché i datori di lavoro o i titolari.
Possono manifestare la disponibilità ad attuare piani aziendali per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione tutti i datori di lavoro – sia singolarmente sia in forma aggregata, e indipendentemente dal numero di lavoratrici e lavoratori occupati – che nell’attuazione dovranno attenersi alle “Indicazioni ad interim per la vaccinazione anti-Sars-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro”. Quest’ultimo è un documento tecnico (trasmesso con la circolare del Ministero della Salute del 12 aprile 2021) con il quale sono state fornite indicazioni per la vaccinazione an- ti-Sars-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro. È stato adottato l’8 aprile 2021 dal Ministero della Salute e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, d’intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, con il Commissario Straordinario per il contrasto dell’emergenza epidemiologica e con il contributo tecnico-scientifico dell’Inail.
La tutela dell’Inail
Riguardo alla specifica attività assicurativa del menzionato Istituto, va segnalato che il dibattito ante legem sull’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 ha investito anche il rapporto assicurativo e, più precisamente, la permanenza o meno del diritto del lavoratore “no vax” contagiatosi in occasione di lavoro o in itinere, alla tutela assicurativa Inail. Al riguardo, come chiarito dall’Inail nell’istruzione operativa del 1° marzo 2021, è utile ricordare che l’assicurazione obbligatoria opera al ricorrere dei presupposti previsti direttamente dalla legge e che si tratta di un’attività vincolata, sottratta alla disponibilità delle parti. Del resto, non solo l’art. 67 del d.P.R. n. 1124/1965 sancisce il principio di automaticità delle prestazioni ma, alla luce degli artt. 2 e 65 dello stesso provvedimento, si evince che la stessa assicurazione ha la finalità di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro, anche da quelli derivanti da colpa, e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di bisogno discendente dalle conseguenze che ne sono derivate.
La tutela Inail è dunque esclusa soltanto in caso di infortunio doloso. Né può ritenersi ipotizzabile, nel caso del rifiuto alla vaccinazione, l’applicazione del concetto giurisprudenziale del cosiddetto rischio elettivo. Posti tali chiarimenti, è dunque necessario tenere ben distinti il piano di operatività della tutela assicurativa Inail da quello della tutela in sede giudiziaria. Infatti, il comportamento colposo del lavoratore, irrilevante ai fini della copertura assicurativa, può invece in sede giudiziaria ridurre, oppure escludere, la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’Inail a esercitare l’azione di regresso nei confronti sempre del datore di lavoro.
La questione, destinata dunque a restare di scarso rilievo in un contesto ordinamentale come il nostro, caratterizzato dal principio dell’automaticità delle prestazioni assicurative contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e per questo opportunamente sopita sul nascere nel dibattito antecedente l’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale per i sanitari, potrebbe in realtà riproporsi proprio per questi ultimi alla luce del mutato assetto (relativo all’obbligo vaccinale per chi svolge attività di carattere sanitario) ma, ad avviso di chi scrive e tenuto conto dell’orientamento della prassi amministrativa e giurisprudenziale in materia, ancora una volta non disgiuntamente da un provvedimento normativo ad hoc.
Chi è Cesare DamianoNato a Cuneo nel 1948, è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel secondo Governo Prodi ed è ricordato per essere l’artefice del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. Dal 2006 al 2018 è Deputato della Repubblica eletto nelle liste del PD e dal 2013 al 2018 è Presidente della Commissione Lavoro della Camera. Cesare Damiano svolge oggi attività di ricerca, formazione e consulenza in materia di sicurezza, diritto del lavoro, politiche dell’occupazione, relazioni industriali, contrattazione collettiva, welfare e previdenza, ed è Presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare e del Centro Studi Mercato del Lavoro e Contrattazione. |