Intelligenza artificiale: un software ci sostituirà?

Sempre più utilizzata anche nelle risorse umane, soprattutto per il recruiting, l’intelligenza artificiale, ha però ancora qualche limite.

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di Marina Fabiano |

Le intelligenze artificiali, queste sconosciute e indisponenti entità di cui molti parlano (anche a vanvera o perché fa moda), stanno allargando a dismisura le proprie sfere applicative, prendendosi in silenzio pezzi di lavoro che riguardano i responsabili delle risorse umane, i selezionatori del personale, i consulenti alla carriera.

Come ad esempio i primi colloqui di lavoro, le letture dei curricula, la stesura delle domande insidiose da porre ai candidati, e molto altro. L’accelerazione delle relazioni in remoto ne ha sollecitato l’attuabilità, offrendo alle aziende nuovi (utili?) strumenti per selezionare e valutare una maggior quantità di potenziali nuovi collaboratori, a partire proprio dalla lettura dei curricula.

I documenti sono i primi elaborati che cadono sotto le mannaie degli esaminatori artificiali: una bella scrematura alle centinaia di domande di assunzione che giornalmente approdano nei siti delle agenzie che si occupano di vagliare e proporre figure direttive o manageriali, nelle affollate caselle di posta elettronica degli HR dedicati alla lettura e cernita delle candidature per tutte le posizioni aziendali; ammesso che di posizioni disponibili ce ne siano.

Ma certo che ce ne sono: conosco personalmente diversi giovani con esperienze di colloqui positivamente sfociati in assunzioni, anche in questo lungo anno critico. Nella mia piccola arena vedo del movimento professionale, non tutte le aziende vacillano, nonostante le gravi difficoltà del periodo pandemico, anzi, ce ne sono diverse che prosperano, investono e assumono. Tornando al cambiamento professionale di chi si occupa di ricerca e selezione del personale, ecco che nuovi strumenti possono aiutare – purtroppo spersonalizzando – nell’analisi della documentazione preliminare.

Il che è comunque limitante, i titoli presenti nel curriculum possono essere troppi, o troppo pochi, magari non attinenti, eppure quel candidato meriterebbe di essere incontrato. Ma tant’è, di fronte a poca offerta e troppa domanda, bisogna sottostare alle leggi di mercato, e quindi attrezzarsi per scrivere un curriculum dedicato a quella specifica posizione di quella specifica azienda, cosa che peraltro mi sono sempre permessa di suggerire, a discapito dei curricula generici che lasciano poche tracce.

Per dirne uno, un possibile iter di selezione artificiale potrebbe comprendere una serie di esercizi cognitivi, tipo “contare tutti i punti presenti in una casella”, e poi “associare le relative emozioni a una serie di espressioni facciali”.

Di solito, si tratta di test della durata di mezz’ora circa allo scopo di valutare le abilità emotive e cognitive. Solo che il risultato è calcolato da un computer e non da un essere umano, magari dotato di capacità interpretative dei comportamenti del candidato, che potrebbero includere nervosismi o incertezze dovute alla tensione del momento. Per carità, conosco parecchi strumenti psicoattitudinali e ne apprezzo moltissimo l’aiuto che possono offrire a un valutatore attento; che magari studia per anni i risvolti comportamentali confrontati con le situazioni e gli ambienti in cui si svolgono i test, e li sa interpretare.

Comunque, si tratta sempre di strumenti esterni, associabili e non sostituibili alla valutazione plurima di un buon analista di dati e di personalità. È anche vero che di fronte a un numero molto elevato di candidati, l’utilizzo di sistemi di AI potrebbe snellire la fase di ingresso, favorendo l’integrazione tra ciò che l’azienda cerca e le caratteristiche preponderanti degli aspiranti collaboratori.

Un po’ come i siti di ricerca del partner perfetto: è una macchina, nella fase iniziale, che decide chi abbinare a chi, in base alle proprie caratteristiche dichiarate e a quelle ricercate. Ammesso che le persone non imbroglino troppo, naturalmente.

Ecco, qui sorge una domanda fondamentale: si può mentire a una intelligenza artificiale? Sicuramente un bravo attore può rappresentarsi meglio di quanto sia in realtà in una fase successiva, quella del colloquio di persona. Con un po’ di allenamento, si può arrivare a rispondere alle domande dirette come si suppone che l’esaminatore si aspetti, simulando una sicurezza o una pacatezza che potrebbe essere molto apprezzata. Certo, prima bisogna studiare il tipo di azienda, le regole non dichiarate, i modus operandi e altro, tutte informazioni comunque reperibili.

Ma nella fase iniziale, si potrebbe imbrogliare un software apparendo più qualificati emotivamente di ciò che si è davvero? Gli esperti dicono di no, perché i test, i giochi e le domande vengono elaborate e poste in modi incrociati, di volta in volta con pesi diversi. Eppure, non ci metterei la mano sul fuoco; alcune persone sono maestre nell’esprimere abilità inesistenti. Ah! E poi ultimamente abbiamo i curricula via video. Il candidato si racconta davanti a una telecamera, probabilmente si riprende più volte finché si ritiene soddisfatto della performance.

In questo caso chi sceglie? Un umano o un computer in base alle espressioni facciali, a ciò che rivelano e a ciò che nascondono? Dunque la fase successiva è lo strumento valutativo, quindi di nuovo (per risparmiare tempo e costi) un primo colloquio via zoom o – peggio ancora – via nuovo video pre-preparato in cui si risponde alle domande che l’azienda avrà inviato.

Qui il valutatore, come un agente della digos in fase di intercettazione telefonica audio/video, va alla ricerca di parole chiave come “io” anziché “noi” (parlando di lavorare in team), oppure si analizza la frequenza del contatto visivo con la telecamera, o altre incoerenze espressive. Probabilmente un software può essere più preciso e impersonale, in questo campo, il valutatore umano può sempre essere distratto da altri pensieri, da elementi esterni o da pregiudizi.

Molti pregi e ancora molti difetti

Bene. Quindi stiamo appurando che l’Intelligenza Artificiale abbrevia i tempi di selezione delle domande di assunzione, è più precisa nell’individuare i tentativi di manipolazione, è più rapida nel far corrispondere le caratteristiche comportamentali giuste alle competenze richieste; e poi è più imparziale, non è sensibile a raccomandazioni né suggerimenti di parentela; non ha pregiudizi di alcun genere, offre davvero pari opportunità.

In un futuro non troppo lontano potrebbero essere le stesse aziende a contattare le persone, ancor prima che queste realizzino di volere un lavoro o di volerlo cambiare, in base ai loro movimenti o interessi nel web, su Facebook o Instagram, o addirittura in base alle preferenze rilevate su Spotify. Un eventuale problema discriminatorio sorge nel caso l’Intelligenza Artificiale del momento sia una “self learning”, cioè una che impara dai moltissimi dati precedentemente immessi.

È successo che Amazon, anzi, il selezionatore automatico di Amazon, desse preferenza ai curricula di uomini, in base alla storia passata di maggiori assunzioni maschili. Qualcuno evidentemente umano se n’è accorto e ha corretto l’errore. Nel frattempo, sembra che Amazon abbia pure abbandonato il progetto di pre-analisi artificiale dei curricula.

Meno male che gli attuali sistemi di registrazione e analisi dei contenuti audiovisivi hanno difficoltà a comprendere tutte le parole pronunciate dalle persone, soprattutto se uno parla velocemente o ha un marcato accento regionale o nazionale.

E poi c’è l’uso di parole convenzionali, magari espressioni comuni ma nuove, o di reciproca conoscenza ma non presenti nei dizionari. Siamo felici, a tutela delle nostre professioni attuali, di registrare importanti limiti dell’intelligenza artificiale, sulla quale ci impegniamo a tenere occhi ben aperti in attesa dei prossimi miglioramenti. Che avverranno, senza dubbio. Ma noi non ci faremo cogliere impreparati, studiando e sperimentando per essere, sempre, un passo avanti alle macchine.

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