Vaccini, Green Pass e luoghi di lavoro. Il dibattito è acceso e la necessità di individuare soluzioni pratiche già dalle prossime settimane e mesi si fa stringente.
Paolo Stern, consulente del lavoro e presidente della società di consulenza Nexumstp che assiste in Italia oltre 10 mila Pmi, commenta così: “Sul tema lavoro e Green Pass stiamo assistendo a opinioni diverse e spesso fantasiose. Credo che sia necessario ragionare con chiarezza. Il datore di lavoro ha prima di tutto l’obbligo legale di garantire la salubrità dei luoghi di lavoro e la sicurezza di tutti coloro che vi operano direttamente, come i dipendenti, o indirettamente come clienti, fornitori, lavoratori in appalto. Per rendere effettivo tale obbligo la legge affida al datore di lavoro il potere organizzativo e direttivo con la conseguente possibilità di definire procedure di lavoro, imporre DPI, avviare percorsi formativi“.
Ma cosa succede nel caso in cui i lavoratori rifiutassero il vaccino e quindi non fossero in possesso del Green Pass?
“In questo caso – prosegue Stern – il datore di lavoro, dopo aver consultato il medico competente anche in conformità dell’attività svolta, ove possibile dovrebbe imporre attività in modo delocalizzato ricorrendo dunque allo smart working. Se invece ciò risultasse incompatibile con le mansioni del lavoratore, dovrebbe sospenderne l’attività per impossibilità sopravvenuta alla prestazione resa in modo sicuro, fino al momento in cui il pericolo di contagio risultasse rientrato secondo le autorità sanitarie. Resta inteso che nel periodo di sospensione non sarebbe obbligatoria l’erogazione della retribuzione. Se però tale periodo diventasse eccessivamente lungo, quindi incompatibile con le ordinarie esigenze lavorative, il datore di lavoro potrebbe valutare il licenziamento per motivi oggettivi e organizzativi“.
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