Il “quasi mercato” dei Fondi Interprofessionali

Un settore complesso e articolato, quello dei Fondi Interprofessionali, caratterizzato, come ogni mercato, da proprie politiche e da una forte competizione tra i player.

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di Giovanni Galvan* |

Fondi Interprofessionali paritetici per la formazione continua esistono da ormai quindici anni. Certamente dal 2003, anno in cui sono divenuti operativi i primi Fondi, molta acqua è passata sotto i ponti e, oggi, questo sistema rappresenta un quarto delle risorse dedicate alla formazione continua in Italia, con tutte le opportunità e le problematiche che questo comporta. Dovendo riassumere, in questi anni si è assistito a una progressiva pubblicizzazione dei Fondi, partiti inizialmente nell’ambito più puramente privatistico, sia pure con una forte impronta sociale. Infatti, la visione iniziale dei padri fondatori del sistema dei Fondi era sicuramente caratterizzata da un forte mandato alle Parti Sociali costituenti a gestirne le risorse in funzione delle politiche di sviluppo e di formazione concordate, sotto una sorveglianza da parte del Ministero per i puri aspetti formali e amministrativi.

Il ruolo dello Stato e delle Parti Sociali

Tuttavia, i Fondi nascono con presupposti legislativi deboli; di fatto l’art.118 della legge 388 del 2000 che li prevede è parte di un decreto “mille proroghe”. L’articolo è costituito da poche righe che alla lunga si sono dimostrate del tutto insufficienti a difendere una scelta coraggiosa dagli attacchi della burocrazia statale. Questa infatti non ha mai capito completamente il ruolo e la funzione dei Fondi e tenta continuamente di ricondurli a pure e semplici stazioni appaltanti, in duplicazione e indebita concorrenza con le Regioni. L’attenzione alla gestione della risorsa ha prevalenza sull’efficacia dell’azione a cui viene destinata, com’è tipico dei sistemi statali autoreferenti. Comunque, nonostante o forse proprio per le prese di posizione di varie burocrazie statali (Anpal, Anac, Antitrust) e per una pletora di sentenze da parte di Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, Cassazione e altre Corti, restano molte contraddizioni di fondo sulla natura dello 0,30% dei versamenti Inps (che ricordiamo è la risorsa sulla quale si basano i Fondi) e sulle sue modalità di gestione. Questo perché il Parlamento latita su questo argomento (come su molti altri delle Politiche Attive del Lavoro) da parecchio tempo, essendo forse più interessato alle Politiche Passive, quali la Cassa Integrazione (anche in deroga) o gli Assegni di ricollocamento, certamente elettoralmente più produttivi. Non dimentichiamo inoltre che dal 2013 una consistente fetta dello 0,30% (oggi sono 120 milioni l’anno su un gettito totale di circa 800 milioni) finisce nelle casse dello stato, e dal 2015 si è perso anche il nesso di queste risorse con la Cassa Integrazione. Detto questo non possiamo negare però che la vaghezza della normativa ha di fatto creato un “quasi mercato” (com’è stato definito da illustri ricercatori) caratterizzato da una forte concorrenza tra Fondi. Probabilmente, quelle Parti Sociali che inizialmente hanno promosso l’idea dei Fondi non avevano pensato di non essere da sole nel settore della rappresentanza. Quindi nessuno inizialmente ha pensato a divisioni per comparto o contratto, anche se ora tardivamente i Sindacati confederali stanno tentando di ripristinare questo vincolo, senza però che questo possa concretamente realizzarsi, se non stravolgendo l’attuale quadro normativo nonché i relativi equilibri politici e di rappresentanza.

I Fondi e il mondo del lavoro

A partire dal 2003 sono nati 22 Fondi (dei quali 3 già chiusi dal Ministero del Lavoro e 3 dedicati esclusivamente ai dirigenti) che rispecchiano varie realtà della rappresentanza, nei suoi pregi e difetti. Eccone alcuni esempi.

Fondimpresa, nato da Confindustria – Cgil, Cisl e Uil, è di fatto un fondo “universale” in cui confluiscono migliaia di imprese e milioni di lavoratori (circa 5); molti di questi nulla hanno a che fare con il comparto industriale (in teoria della grande industria) rappresentato dalla parte datoriale. In teoria, le Pmi dell’industria dovrebbero confluire nel Fondo Pmi di Confapi, che però non è riuscita a mantenere appieno questo ruolo.

Per quanto riguarda Fonarcom e Formazienda, rispettivamente terzo e quarto Fondo in Italia per numero di aderenti, è certamente l’offerta tecnica che prevale su quella politica, per venire incontro alle microimprese e alle Pmi che nel sistema dei Fondi spesso rischiano di fare da massa di manovra finanziaria per le grandi imprese dei grandi Fondi.

Il commercio è invece diviso tra For.Te (Confcommercio) e Fon.Ter (Confesercenti) che però condividono gli stessi sindacati di categoria, sempre della Triplice. Inoltre, le imprese di commercio e servizi sono sparse in molti altri Fondi, mentre non esistono altri Fondi che corrispondano pienamente ad altri importanti comparti, come ad esempio il trasporto e logistica oppure la sanità privata.

Ci sono poi due fondi in cui è il Sindacato che fa la differenza, a prescindere dal comparto, come FondItalia e FondoLavoro, con la presenza di Ugl, che associano imprese di tutti i tipi.

Esiste infine una serie di Fondi molto specializzati, più che per comparto per tipologia di impresa, come Fondartigianato, Fonder, Fon.Coop, Fondoprofessioni, Fondo Banche, Fonservizi, Foragri. Ciò non toglie che ciascuno di essi si ritrovi molte imprese non coerenti con la natura della rappresentanza che costituisce il Fondo. In sostanza, visto che nessuna legge impone una scelta vincolata alle imprese, ciascuna impresa può aderire a qualsiasi Fondo, con buona pace di coloro che vorrebbero impedirlo.

Il mercato dei Fondi

È qui che nasce appunto il “quasi mercato” di cui parliamo. Tutti i Fondi, chi più chi meno, sono quindi chiamati a muoversi in una logica di concorrenza, incentivata tra l’altro da uno dei pochissimi interventi legislativi sul tema della “portabilità” (Legge 2/2009) che consente talvolta alle imprese medio-grandi di portare il versato da un Fondo all’altro in caso di spostamento, creando tra l’altro una disparità di diritti tra imprese. Altro elemento di disparità di diritti e di possibilità di accesso alle risorse è dato dai Conti Formativi Aziendali (Cfa) che consentono solo alle imprese di una certa dimensione (variabile da Fondo a Fondo) di accedere direttamente e senza avviso a una risorsa quale lo 0,30% Inps che qualcuno (specie a Bruxelles) potrebbe indicare come totalmente pubblica e comunque soggetta alle normative sugli aiuti di stato (o de minimis). Qui certamente la mobilità e il mercato sono limitati, in quanto le grandi imprese hanno già i loro Fondi di riferimento, più che altro per la frequente appartenenza attiva alle relative associazioni datoriali. Resta quindi la massa delle microimprese e delle Pmi che rischia sempre di fare un po’ da cassa per le medio-grandi.Cerchiamo quindi di capire come e perché è qui che si gioca la maggior parte della partita del marketing dei Fondi.

Il marketing dei Fondi

Partiamo sempre dall’assunto che il versamento medio lordo per lavoratore annuo per quanto riguarda lo 0,30% è di circa 45-50 euro medi a livello nazionale. A questa cifra va sottratto circa un 20% per la trattenuta straordinaria statale in vigore dal 2015, più un altro 20% circa per le spese di gestione del Fondo Interprofessionale; il rischio quindi è che il netto disponibile per la formazione si riduca a 30 euro. Le microimprese (cioè quelle sotto i 10 lavoratori) rappresentano il 95% del tessuto imprenditoriale italiano. Visto che mediamente queste imprese possono versare dai 30 ai 270 euro annui non hanno mai le risorse sufficienti per poter fare la formazione almeno a uno dei propri dipendenti, calcolando che il rapporto Inapp stima un costo medio a corso di circa 600 euro ad allievo. Di conseguenza non ha senso fare aprire a queste imprese un Cfa perché ci vorrebbero anni per cumulare risorse sufficienti anche solo per fare il corso a un dipendente. Dunque, questo tipo di imprese vengono normalmente immesse d’ufficio a partecipare ai Conti Sistema, ovvero i serbatoi finanziari che vanno a sostenere gli Avvisi pubblici emessi dai Fondi. In questi Avvisi, che gestiscono di fatto graduatorie, di merito o a sportello (ad esempio il Click Day) le componenti di incertezza e dunque le capacità di mediazione degli Enti di formazione sono elementi fondamentali. Di fatto però, gli Enti più agguerriti tendono per natura a privilegiare le imprese medio grandi o comunque quelle a cui più facilmente è proponibile la formazione. Non dimentichiamo infatti che le microimprese sono di natura refrattarie, sia culturalmente sia organizzativamente, alla formazione, vista spesso come un costo (almeno in termini di tempo) e non come un’opportunità, oltre a temere moltissimo il rapporto con i Sindacati. Questa è dunque un’area in cui sono gli Enti di formazione a muoversi, cercando il contatto con i Consulenti del Lavoro, per cercare di creare masse finanziarie sufficienti a garantire una certa continuità di lavoro (vista appunto l’incertezza degli Avvisi). Molti Fondi hanno capito che questa intermediazione, che a nostro parere è comunque “sana” perché sviluppa in ogni caso Politiche formative, è che alla base dello sviluppo del proprio marketing associativo. Di conseguenza, molte delle policy dei Fondi sono orientate soprattutto a rendersi più attrattivi non tanto alle microimprese quanto a coloro che con esse operano, Enti e società di formazione.

L’accessibilità ai Fondi

Qui si gioca “l’accessibilità” ai Fondi. Per accessibilità si intende l’insieme di caratteristiche regolamentari e di facilitazione che rendono più o meno difficoltoso o probabile l’accesso al contributo da parte dell’impresa relativamente ai suoi fabbisogni di formazione. Più l’accesso è difficile per l’impresa più i costi salgono. Di fatto l’accessibilità è inversamente proporzionale al costo di accesso al contributo, che può essere di varia natura:

consumo di tempo lavorativo da parte del personale dell’impresa (tipicamente il titolare, i dirigenti o l’ufficio risorse umane) o molto più frequentemente di enti e professionisti incaricati per adempiere le pratiche richieste dal Fondo Interprofessionale;

erosione del contributo per costi non direttamente inerenti il fabbisogno reale dell’impresa:

costi di soggetti intermediari;

costi finanziari dovuti per la tempistica di rimborso;

costi per fideiussioni e anticipazioni.

problematiche politico-sindacali che possano danneggiare l’impresa in termini di mercato o di relazioni industriali, ad esempio la scelta di un Fondo Interprofessionale o di un Ente di Formazione non gradito all’associazione di appartenenza o al Sindacato in rapporto con l’impresa.

Aspetti da considerare

È importante studiare un Fondo valutandone alcuni aspetti.

Le modalità di Concertazione e il ruolo che le Parti Sociali del Fondo Interprofessionale si sono date nel processo, e quanto questo sia in linea con i rapporti interni ed esterni dell’impresa.

Le modalità di accesso al contributo, che possono essere la presentazione di Piani o Progetti formativi direttamente da parte delle imprese o da parte di Enti da loro delegati, oppure, da parte dei soli Enti, di Cataloghi Formativi per i Voucher. La tipologia dell’offerta di contributi offerti dal Fondo Interprofessionale per queste modalità è riconducibile a due tipologie fondamentali:

a “conto”, cioè messa a disposizione di quanto versato direttamente dall’impresa direttamente su sua richiesta (di solito erogati “a sportello” con una procedura sempre attiva)

ad “avviso” (detto impropriamente bando), cioè messa a disposizione di contributi anche superiori a quanto versato, ma sulla base di graduatorie di merito che mettano a confronto richieste provenienti da più imprese, ad esempio su di un certo territorio o in un certo settore.

Il ruolo dei cosiddetti “soggetti di intermediazione”, come proponenti, attuatori, Consulenti del Lavoro, Commercialisti. Spesso infatti l’impresa non ha un contatto diretto con il Fondo Interprofessionale, ma viene contattata da soggetti che le propongono l’adesione, oppure essa stessa incarica enti e consulenti di verificare l’accesso ai contributi sui Fondi Interprofessionali. Ogni Fondo Interprofessionale ha una sua policy riguardo a questi soggetti, più o meno restrittiva del loro ruolo, qualche volta imponendoli, qualche volta lasciando piena libertà alle imprese di sceglierli. Visto che l’impresa spesso non ha internamente le competenze per accedere ai contributi per la formazione, è importante che il soggetto che accompagna l’impresa nell’operazione sia compatibile con le politiche e i regolamenti del Fondo Interprofessionale prescelto.

Le modalità di finanziamento: quantità, tempistica, complessità. Ovviamente il contributo è al centro della valutazione dell’impresa:

Quanto è il massimo contributo che si può ottenere?

È sufficiente per il fabbisogno formativo?

In quanto tempo si può ottenere?

Quanto è complesso il rendiconto da presentare?

Quanto devo anticipare e quali sono i costi finanziari dell’operazione

La capacità di facilitare l’accessibilità, non solo in termini di procedure snelle, ma anche di assistenza, informazione e, talvolta,  anche formazione, di chi le procedure le deve applicare (imprese e formatori). Già una semplice telefonata o una occhiata al sito può far capire quanto sarà complicato lavorare con un dato Fondo Interprofessionale. In ogni caso spesso la qualità dell’assistenza e la disponibilità del personale del Fondo Interprofessionale possono fare la differenza tra un progetto fallito o un contributo inesigibile e una formazione efficace ed economica.

I condizionamenti del mercato

Queste problematiche, che potremmo definire universali a prescindere dal Fondo o dall’impresa, sono quelle che condizionano effettivamente il “quasi mercato” dei Fondi, anche se spesso capita che qualcuno tenti di non tenerne conto, immaginando chissà quali possibilità di sviluppo di policy svincolate dagli aspetti pratici e legate invece ad assunti teorici e lontani dai fabbisogni reali delle imprese e, piaccia o no, degli Enti e dei vari soggetti di intermediazione (ovviamente non finanziaria ma operativa). Di conseguenza, se i sempre maggiori vincoli burocratici imposti da Anpal e dalla burocrazia statale limiteranno sempre più i Fondi nelle loro possibilità di sviluppo commerciale, assisteremo a una competizione sempre più difficile ma spietata tra Fondi, nella quale potranno prevalere ovviamente quelli che dispongono di maggiori risorse e di maggiore rappresentatività. Ci auguriamo però che questo non avvenga sulle spalle e a discapito delle Pmi e delle microimprese che sono la fascia più difficile da coinvolgere nelle Politiche Attive anche se quella che ne ha più bisogno, soprattutto in termini di sviluppo e innovazione.


Qualche proposta concreta

Qualche proposta concreta si può però fare:
semplificazione delle procedure di concertazione sindacale;
attivazione dei voucher per la formazione individuale;
snellimento delle pratiche di contributo e velocizzazione dei tempi di rimborso, anche tramite l’introduzione dei Costi Standard;
verifica della qualità degli Enti e dei professionisti incaricati dell’intermediazione;
maggiore trasparenza e informazione per le imprese sulle opportunità offerte dai Fondi.
Molto si può dunque fare. Tuttavia è importante che il dialogo istituzionale non venga meno e che anche la politica inizi a interessarsi del tema delle Politiche Attive del lavoro, di cui i Fondi Interprofessionali rappresentano una delle colonne portanti.

* Giovanni Galvan è esperto in Politiche Attive del lavoro.

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