di Mauro Meda e Andrea Crocioni* |
“Il ruolo dell’impresa sta cambiando. La logica del profitto, che pure è insita nell’attività imprenditoriale, oggi assume un significato diverso: non c’è profitto se non c’è attenzione per il mondo che ci circonda e se non si riescono a esprimere valori solidi, che rendono l’impresa affidabile, credibile, etica agli occhi dei clienti e anche dei talenti che si vogliono attrarre”.
Ne è fermamente convinto Federico Visentin, Presidente della Fondazione Cuoa e di Federmeccanica: l’impresa non può più essere un soggetto meramente economico, vincolato all’urgenza della propria sopravvivenza, ma deve diventare motore dello sviluppo sociale del territorio in cui opera.
L’impresa vive in una competizione globale, ma si muove in un contesto territoriale da cui attinge risorse ed energie e a cui è chiamata a restituire un contributo in termini di benessere della comunità. È possibile ricomporre e far convergere il profitto e gli interessi degli azionisti con quelli del territorio?
Per crescere, le imprese devono lavorare esprimendo al mercato il senso del proprio operato, l’attenzione per le persone, la cura per l’ambiente e il proprio impegno sociale sul territorio, in quanto promotrici di lavoro e benessere. È un approccio che le imprese stanno imparando a fare proprio grazie agli obiettivi dell’Agenda 2030 e che diventerà una strada obbligata. La sostenibilità, che è anche e soprattutto sociale e di governance, oltre che ambientale, diventerà un requisito indispensabile per competere e garantire la redditività dell’impresa.
I valori sociali e la Corporate Social Responsibility sono diventati un elemento quasi imprescindibile del business. Esiste un nuovo approccio imprenditoriale capace di rendere un progetto economico anche un progetto sociale, con un impatto positivo per le comunità?
Credo che sia un elemento imprescindibile. Parliamo di un salto culturale molto impegnativo, soprattutto per il tipico tessuto imprenditoriale italiano, fatto di piccole e medie imprese che ancora stanno lavorando sul loro processo di “managerializzazione”. Servono competenze e strumenti per far evolvere il modello di business. Ne parliamo spesso con gli imprenditori che frequentano le nostre aule: la consapevolezza sta aumentando e si sta creando il giusto terreno per sviluppare solide progettualità.
Promuovere un’idea di sviluppo ecosostenibile, come previsto dal Green Deal europeo e dalle Nazioni Unite con Agenda 2030 e i 17 SDGs, è una sfida possibile per le imprese italiane?
Certamente sì. Il tema dell’ecosostenibilità, tra tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030, è forse quello su cui c’è maggior attenzione. Sono molte le imprese che si stanno muovendo in questa direzione. Ma c’è un pericolo: non basta agire per rendere meno pesante l’impatto dell’attività sull’ambiente, occorre una revisione dell’intero sistema aziendale, con il coinvolgimento della governance, delle persone e del territorio. Mettiamo spesso in guardia imprenditori e manager: attenti al greenwashing e alle sue conseguenze sulla reputazione delle imprese. Perché quando si inizia questo percorso, l’approccio deve essere sistemico e strategico e deve riguardare tutta l’azienda.
La costruzione di un nuovo sistema economico prevede anche un nuovo modello di leadership? Il passaggio generazionale per le imprese italiane può dare un contributo? Come va affrontato?
Il tema della leadership è centrale. Soprattutto nelle fasi di transizione e cambiamento può determinare il successo o l’insuccesso dell’impresa. Il contesto attuale impone un’evoluzione per gli imprenditori come per i manager. È uno sforzo importante e un percorso che va costruito. Le future generazioni devono essere accompagnate fin da subito a comprendere come un buon stile di guida sia indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi. Il passaggio generazionale andrebbe vissuto come una grande opportunità: chi lascia deve avere l’obiettivo di consegnare alle nuove generazioni un’impresa solida e sana, con valori e posizionamento forti; chi subentra deve far leva sul rispetto per il passato e sui valori fondanti per introdurre e nuovi approcci e stili. Accompagnando le imprese in questo momento delicato vediamo che se correttamente orientato e condiviso, il cambiamento porta valore e crescita.
Qual è il ruolo della formazione manageriale e delle istituzioni dell’alta formazione nel far crescere una classe di dirigenti e professionisti capaci di concepire la sostenibilità ambientale, economica e sociale?
La sostenibilità è uno dei temi forti del momento, insieme ai progetti di change management. Le imprese sentono il bisogno di investire nelle competenze del capitale umano. Dico sempre che le Business School come il Cuoa, tra i fondatori di Asfor nel 1971, hanno un ruolo sociale e un impegno, quello di aiutare le imprese ad affrontare le nuove sfide. La formazione è la strada maestra. Academy, percorsi su misura o formazione interaziendale sono strade diverse, tutte di valore, che le imprese possono valutare in base ai loro obiettivi. In tutti i casi l’azienda si pone in modo positivo verso il proprio capitale umano: la formazione, soprattutto dopo un momento di crisi, è un segnale di fiducia nel futuro e i collaboratori non possono che vedere in questo un’opportunità.
La pandemia ha contribuito a farci ripensare il valore delle competenze, del lavoro e dell’impresa, ma anche il ruolo dello Stato. Quale compito spetta alle istituzioni e alla politica nel sostenere le aziende verso la crescita sostenibile?
Il tema è ampio e complesso. Da anni si dibatte sulla capacità delle istituzioni e della politica di creare condizioni migliori per le imprese. Servono semplificazione, interventi strutturali e reale convergenza di obiettivi. Se le imprese stanno bene, l’impatto sociale è positivo e si può solo crescere, come società e come Paese. Ricordiamoci l’art. 1 della Costituzione: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”, cioè sul contributo che ciascun cittadino dà al benessere collettivo con il suo agire personale. Perché questo sia possibile vanno create le condizioni. Il tema della sostenibilità è una grande opportunità: gli SDGs tracciano la strada per un profondo ripensamento di modelli e approcci.
Come presidente di Federmeccanica, che rappresenta il settore economico produttivo di maggior valore e rilevanza del nostro Paese, quali sono le sfide a cui non intende rinunciare nel prossimo triennio?
Lo scorso 15 settembre Federmeccanica ha compiuto 50 anni. In occasione della ricorrenza, è stato presentato il Progetto “Competere. Guardiamo al futuro”. Intendiamo dare un contributo con stimoli e proposte, da approfondire con tutti gli stakeholders. Bisogna intervenire su problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo, come il cuneo fiscale, e porre le basi per gestire il cambiamento, creando le competenze che serviranno alle imprese. Va sostenuto il tessuto produttivo con gli incentivi per il 4.0 e contenendo l’eccessivo costo delle materie prime. Vanno semplificati, potenziati e resi strutturali gli incentivi fiscali per promuovere il welfare aziendale e i premi di risultato. Va supportata la crescita dimensionale delle imprese e delle competenze dei lavoratori. È importante creare aziende strutturate capaci di attrarre e trattenere giovani talenti e potenziare le politiche attive. Le sfide sono tante e complesse e coinvolgono tutti, dalle istituzioni alle parti sociali: dobbiamo proseguire insieme sulla via del rinnovamento. Il momento è quello giusto, ci sono opportunità da cogliere come l’utilizzo delle risorse previste dal Pnrr per la riforma degli Its. Non sprechiamo altro tempo. La competitività delle nostre imprese vuol dire crescita per il Paese intero.
* L’intervista di Mauro Meda e Andrea Crocioni è stata pubblicata su formaFuturi, bimestrale di cultura e formazione manageriale promosso da Asfor e Apaform.