Ascoltare, delegare e condividere

Sono queste le competenze manageriali necessarie a supporto dello sviluppo di una nuova cultura aziendale.

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di Luigi Giacomon |

Cosa rimane dell’energia e dell’entusiasmo con cui le aziende hanno sperimentato, con incertezze e difficoltà, nuovi modelli organizzativi nei periodi di lockdown?

Le aziende stanno continuando a ridisegnare l’organizzazione, puntano a rendere stabile le modalità smart di lavoro. Occorre cambiare i processi, gli obiettivi da raggiungere e la loro modalità di valutazione. Questo vale per tutti, ma in particolare per i manager. Dall’Osservatorio Managerial Learning di Asfor e Cfmt “Il nuovo volto dell’Engagement” si evince che lo smart working, così come si vive al momento, è tra le cause di stanchezza diffusa. Superato l’entusiasmo iniziale, questa modalità di lavoro, spesso non regolamentata, gestita con poca esperienza, ha fatto saltare la separazione temporale e spaziale tra sfera privata e lavorativa. Dai focus group su cui si è basata la ricerca emerge la sensazione diffusa di iper lavoro, che affatica e stanca.

I manager protagonisti del cambiamento

Solo un cambiamento di cultura aziendale potrà far diventare davvero “smart” e praticabile per lungo tempo il nuovo modello organizzativo. Protagonisti del cambiamento devono essere i manager: il loro ruolo di integratori è insostituibile nel rapporto con il vertice aziendale e con i team di lavoro. Il “new normal” necessita soprattutto di nuovi valori, primi fra tutti la fiducia e la delega, che scardinano la necessità (inconscia) di essere visibili e di vedere l’altro alla sua postazione, e che aiutano a individuare nuovi obiettivi e nuove modalità di valutarne il raggiungimento. I processi aziendali devono cambiare volto: l’azienda cambia cultura e pratiche quotidiane. Solo così si apre alle nuove opportunità (sia all’interno verso le risorse umane sia all’esterno verso clienti, fornitori e partner). Le aziende devono essere il più fluide possibili per adattarsi ai cambiamenti.

Quindi le competenze necessarie sono in continua evoluzione. Viene meno l’iperspecializzazione a favore di un upskilling di competenze soprattutto trasversali che aiutano il singolo, e di riflesso l’azienda, ad adattarsi ai mutamenti e a prevenirli. Ma anche le ultime analisi di Cfmt non evidenziano, nell’opinione dei manager, competenze sostanzialmente diverse rispetto alle indagini pre-pandemia. L’aspetto fondamentale è però l’urgenza di possedere subito quella capacità di visione per adattarsi ai contesti mutevoli e flessibili, quell’efficacia nella comunicazione per coinvolgere le persone dando un senso al loro lavoro, valorizzando i team da gestire a distanza, pur nell’incertezza.

Competenze trasversali nel “new normal”

Ascoltare, delegare, comunicare e condividere, e quindi dare fiducia, sono alcune delle competenze trasversali che il manager deve allenare nel “new normal”. Sin dal primo lockdown i manager hanno messo in campo competenze di natura psicologica per gestire le paure dei collaboratori. Ora che la fase più critica è passata, si trovano a dover gestire i propri team con nuovi modelli di lavoro. I manager diventano sempre più coach, consapevoli che la mediazione dello schermo nei gruppi di lavoro non è un elemento di secondaria importanza, ma che, al contrario, incide fortemente sulla qualità e sulla natura delle dinamiche lavorative. L’azienda deve riuscire a superare la barriera dello schermo e costruire relazioni empatiche con i propri dipendenti, i manager devono saper dare feedback e valorizzare il lavoro e gli obiettivi raggiunti a prescindere dal tempo passato in ufficio. Per riaccendere l’entusiasmo, l’energia e l’engagement nei collaboratori bisogna lavorare su quegli aspetti che sono stati maggiormente colpiti dal distanziamento fisico e sociale.

Come durante la prima fase pandemica, anche in questi mesi in cui il programma vaccinale sembra far tornare tutto a un’apparente normalità, la formazione risulta essere lo strumento più efficace per i manager per mettere in atto quei processi di “upskilling” e “reskilling” finalizzati all’acquisizione a all’allenamento di quelle competenze più utili per gestire azienda e collaboratori in questa nuova era.

La formazione come variabile strategica

La formazione è la variabile strategica per l’organizzazione: permette di rendere fruibile, per tutto il team e per le nuove leve, il sapere costruito nel tempo e di allenare la capacità di adattamento ai cambiamenti, consentendo di cogliere le opportunità e di capitalizzarle.

Di per sé, però, non ha un potere taumaturgico, diventa uno strumento potente solo se inserito in una strategia oculata e lungimirante. E se porta a un reale apprendimento di tutta l’organizzazione che, per reagire ai cambiamenti e ripartire, punta su precisi driver, come ripensamento dei modelli di business, di prodotto e servizi, rendendo stabili le innovazioni digitali acquisite, con sempre più focus sul cliente. Per vincere le sfide le aziende devono creare “valore condiviso”, partendo da uno “scopo aziendale” riconosciuto, sia all’interno che all’esterno dei confini dell’organizzazione, soddisfacendo i bisogni degli stakeholder interni e della società.

Il cambiamento come patrimonio di tutti

L’uscita dalla crisi, in sostanza, impone una accelerazione di quelle transizioni che riscontravamo già nei manager e nelle imprese più innovative, e che devono ora essere patrimonio di tutti, per l’occupabilità e per la competitività di imprese alla ricerca di nuovi spazi di mercato e alle prese con esigenze di riorganizzazione.

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