a cura di APPrendere |
Chi è il modern learner, quali sono le sue caratteristiche, i suoi bisogni? Immediatamente ci appare l’immagine di un nativo digitale. Un’appartenente alle generazioni denominate Y e Z, una persona che oggi ha tra i 15 e i 40 anni. Supertecnologici, iperconnessi, spesso considerati superficiali dalle generazioni precedenti. Insomma, quello immaginiamo è principalmente tecnologia e la capacità di sfruttarla al meglio.
La definizione di modern learner, almeno quella che Crystal Kadakia e Lisa Owens ci propongono, è invece molto più ampia e inclusiva, capace di andare al di là dello stereotipo del giovane nerd supertecnologico. Nel loro libro “Designing for Modern Learning: Beyond ADDIE and SAM” le autrici definiscono il modern learner, come una persona che ha bisogno di imparare in modo veloce, immersa in un ambiente in continuo mutamento, che vuole avere accesso a un’ampia varietà di risorse dove trovare le risposte.
Il Modern Learner chiede innovazione
Quello che le due autrici hanno potuto rilevare dal loro ampio lavoro di ricerca, è che le principali aspettative degli utenti, e non solo i nativi digitali, rispetto alla formazione si concentrano sulla possibilità di accedere velocemente ai migliori programmi di formazione e informazione. I contenuti che meglio soddisfino le attuali esigenze, sia in termini procedurali e funzionali al compito da svolgere, sia per quanto riguarda la formazione comportamentale.
Il risultato di questa ricerca fa riflettere: come possiamo rispondere alle nuove esigenze se, nei fatti, utilizziamo ancora un modello formativo impostato negli anni 60 dello scorso secolo? Allora si utilizzavano diapositive fotografiche proiettate e lucidi su lavagne luminose. Oggi utilizziamo PowerPoint e pagine Web. Sono certamente strumenti efficaci, che funzionano, ma appartengono a un mondo di qualche decade fa. In particolare, l’uso che facciamo nella formazione di questi strumenti risulta antiquato. La formazione è ancora oggi intesa come oggetto didattico di sviluppo di una singola competenza. Tutta la formazione che viene prodotta segue un format preciso: un contenuto specifico o una competenza che viene presentata e sviluppata singolarmente. Nel frattempo, il modo che abbiamo di informarci, di divertirci e di rimanere “connessi” tramite i social è un continuo entrare e uscire da argomenti, strumenti e device differenti.
Quello che i modern learner ricercano non è una formazione basata su elementi monotematici. Ma avere a disposizione un cluster di oggetti formativi, dove poter navigare tra diversi contenuti con diverse modalità arrogandosi il potere di scegliere cosa e quando accedere per la propria formazione. Il modern learner sposta il soggetto: dalla centralità del docente alla centralità del discente che acquisisce il potere di apprendere.
La personalizzazione della formazione
Lo sviluppo della tecnologia sta evidenziando un primo effetto: la trasformazione del discente in learner. Non si tratta di una sola trasposizione del termine utilizzando la lingua inglese (che sa sempre di innovazione), ma di un nuovo approccio alla formazione. Si sposta infatti la responsabilità che passa dal docente al learner.
In un mondo in cui la disponibilità di conoscenza è così ampio la scarsità non è più nell’avere accesso al tempo del docente. L’elemento scarso diviene il tempo e l’attenzione del learner rispetto al proprio apprendimento in un’ottica di sviluppo continuo. Questo spostamento della responsabilità rispetto al proprio sviluppo impone un nuovo punto di osservazione dell’attività formativa. La quale, oggi, deve riuscire ad attrarre le persone e a mantenerle motivate, sapendo che, come succede per i programmi televisivi, c’è sempre la possibilità di cambiare canale. Spostando il tempo e l’attenzione verso altri programmi.
La formazione diviene sempre più personalizzata, adattiva e individualizzata sulle necessità e sulle preferenze del learner, in un contesto auto-organizzato. Personalizzazione della formazione significa libertà di scelta di quale corso seguire, di quale modalità preferire nel corso, di definire gli obiettivi che voglio raggiungere dalla partecipazione al corso di quando e come voglio seguire la formazione. L’apertura all’innovazione, e non ci riferiamo esclusivamente a quella tecnologica, diviene un imperativo assoluto per riuscire a cogliere tutti i bisogni che emergono. In un’ottica di ubiquità della formazione continua.
Cosa dice il modello 70:20:10
La trasformazione in atto, con la de-localizzazione del lavoro in una modalità blended dove si uniscono modalità di lavoro in ufficio e smart (o remote) working, impone modalità di formazione che meglio si adattino a queste nuove necessità emergenti. Se prima era complicato riuscire ad avere in un’aula tutti i partecipanti a un corso, ora diviene ancora più arduo riuscire a farlo. Il paradigma di riferimento, che si sta sempre più consolidando, deriva dal cosiddetto modello 70:20:10.
Secondo questo modello, l’attività formativa in un ambito professionale si sviluppa secondo le seguenti percentuali:
- 70% formazione esperienziale;
- 20% formazione sociale;
- 10% formazione formale.
Il modello è stato sviluppato sul finire degli anni 80 da tre ricercatori del “Center for Creative Leadership”. Morgan McCall, Michael Lombardo e Robert Eichinger lo pensarono studiando i principali fattori di successo professionale per i manager. Il principale valore assegnato dagli autori è legato alla formazione esperienziale, ovvero quella raccolta nella propria pratica professionale. Nasce dalla possibilità di accedere ai bisogni pratici che emergono quotidianamente, sfidando la persona rispetto alle proprie competenze e al loro sviluppo.
Il successivo 20% deriva da una serie di attività di carattere sociale: le interazioni con i colleghi, le comunità di pratica, il coaching e il mentoring e, ovviamente, tutti i feedback e gli incoraggiamenti che si ricevono. La formazione formale, quella tradizionalmente svolta in aula, la cui partecipazione è spesso su iscrizione da parte dell’organizzazione anziché su scelta del partecipante, rappresenta il 10%. Una ricerca del 2018 ha verificato, con una vasta indagine su diversi settori e per diverse figure professionali, il modello e la sua suddivisione ridimensionando i valori in 55:25:20.
Di fatto, non si sposta il tema di fondo: la formazione si svolge per l’80 per cento al di fuori delle aule.
L’articolo è realizzato in collaborazione con APPrendere, società di consulenza e servizi nell’ambito della formazione online.