Leadership femminile: a che punto (non) siamo?

Il 16% delle manager intervistate da EY ritiene l’obiettivo della parità di genere nei ruoli dirigenziali irraggiungibile

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Leadership femminile: indagine EY

La leadership femminile fa bene all’azienda, ma la parità ai vertici è ancora lontana. Lo dice l’ultima survey EY – SWG che indaga presenza e ruolo delle donne nelle aziende italiane.

Circa il 30% delle lavoratrici tra i 30 e i 50 anni ritiene la posizione professionale non in linea con le proprie competenze e aspettative. Il 36% non ritiene adeguatamente valorizzate le proprie competenze e oltre il 40% ritiene inadeguata la retribuzione. Tutto ciò in un contesto in cui la metà delle intervistate parla di squilibrio di possibilità di carriera e di compensi tra uomini e donne.

La situazione della leadership femminile

L’applicazione della legge Golfo-Mosca ha prodotto un incremento della quota delle donne negli organi di amministrazione delle società quotate. Siamo passati dal 7,4% del 2011 al 36,5% del 2019. Mentre la presenza negli organi di controllo è passata dal 6,5% al 38,8%. Tuttavia, non possiamo dare per realizzata la parità di genere nei vertici aziendali. Tra le donne che ricoprono ruoli negli organi di amministrazione sono AD solo l’1,7% nelle società quotate e lo 0,7% nelle banche. Ricoprono invece la carica di presidente il 3,2% in entrambi i casi.

“C’è ancora molta strada da fare ed è una strada che impatta positivamente sulle performance aziendali – commenta Stefania Radoccia, Managing Partner dell’area tax & law di EY in Italia -. Diversi studi documentano che le aziende con leadership femminile ricorrono meno al debito come fonte di finanziamento. Inoltre, hanno guadagni meno volatili e una maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto a società simili gestite da leader uomini”.

Buone percezioni, poca parità

Tanto nella percezione delle lavoratrici quanto in quella dei dirigenti (sia uomini sia donne), oltre la metà delle imprese i ruoli dirigenziali continuano a parlare principalmente al maschile. Anche laddove hanno acquisito ruoli dirigenziali, le donne si trovano a gestire un numero inferiore di risorse rispetto ai colleghi maschi.

Pur a fronte di una situazione reale ancora fortemente sbilanciata verso una leadership maschile, tre quarti dei dirigenti intervistati ritengono che un’azienda con una leadership equilibrata dal punto di vista del genere sia più performante. La percezione generalizzata è che le caratteristiche di un buon leader non dipendano dal genere. Anche se emergono delle sfumature che sembrano attribuire maggiormente alle donne le competenze di inclusività e di motori del cambiamento e agli uomini autorevolezza e carisma. Netta bocciatura invece per il luogo comune secondo il quale le donne non sarebbero interessate a fare carriera.

Gli ostacoli principali rimangono quelli legati alla conciliazione tra lavoro e attività di cura (per il 46% delle lavoratrici) e la predominanza maschile nei ruoli chiave (per il 48% delle lavoratrici). Tra le donne (dirigenti e non) ampio il gradimento per una legge che renda vincolante per le aziende perseguire obiettivi di parità di genere.

Gender gap: a che punto sono le aziende

Nella percezione delle lavoratrici e dei dirigenti intervistati sono ancora poche le aziende dotate di una reale struttura organizzativa per ridurre le differenze di genere. Nel 68% non è presente una struttura che si occupi dell’inclusione delle donne. Solo il 21% ne prevede l’adozione nei prossimi anni. A mancare sono soprattutto le strutture che possono favorire la conciliabilità tra lavoro e famiglia, considerata peraltro il principale problema per l’inclusione e la leadership femminile. Ma anche sistemi organizzati di misurazione del gender gap. Nel 70% delle aziende attualmente non è previsto un sistema di monitoraggio dei progressi per raggiungere la parità di genere.

Nel confronto tra dirigenti uomini e donne, il percepito appare spesso molto distante, con una differenza di oltre 20 punti percentuali quando si parla di effettiva equità nel trattamento di uomini e donne. Solo per il 31% delle dirigenti donna e per il 39% dei dirigenti uomini nella propria azienda è previsto un piano per la parità di genere.

Cosa ci riserva il futuro

L’obiettivo di raggiungere la parità di genere nei ruoli dirigenziali non appare facile da raggiungere nel breve periodo. Per il 16% delle dirigenti donne intervistate sarà comunque irraggiungibile, mentre per il 35% delle intervistate ci vorranno più di 10 anni. L’ingaggio diretto a questo riguardo di uomini e donne appare piuttosto diverso, con una maggiore tendenza dei dirigenti uomini a lasciare che le cose si compiano secondo il loro corso, senza intervenire direttamente. Per il 49% dei dirigenti uomini, infatti, la promozione di più donne in posizione di leadership è un impegno da assumersi ma non una priorità. Per il 31% è qualcosa che avviene naturalmente ma sulla quale non si devono fare particolari azioni.

Il 56% dei dirigenti intervistati non è a conoscenza della certificazione di parità, inserita nella missione 5 del PNRR. Questa prevede un esonero sui contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui. L’adesione è su base volontaria e non sanzionatoria, per favorire un vero e proprio cambio culturale all’interno delle aziende. Ma solo il 42% dei dirigenti conosce la misurazione dell’impatto di genere, che viene applicata nel 20% delle aziende degli intervistati. Ampio consenso (60%), invece, verso l’introduzione di incentivi per realizzare obiettivi misurabili di impatto di genere.


Consulta l’indagine “Parità di genere & Leadership al femminile”

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