Colmare il gender gap per far crescere il Pil

La certificazione della parità di genere è una normativa importante, in grado di innescare meccanismi di cambiamento interno alle aziende quanto mai urgenti e necessari

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Gender gap e importanza della normativa sulla certificazione

di Laura Reggiani |

L’Italia si posiziona al quattordicesimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato dallo European Institute for Gender Equality.

Eppure, colmare il gender gap in ogni ambito della vita privata e pubblica consentirebbe di avere un impatto molto positivo sulla crescita del nostro Prodotto Interno Lordo, valutata in una percentuale compresa tra il 9 e l’11%. L’analisi dellOsservatorio di 4.Manager, l’Associazione costituita da Confindustria e Federmanager, rivela che le posizioni manageriali femminili sono ferme al 28% del totale. E tale quota si riduce al 19% se consideriamo le posizioni regolate da un contratto da dirigente, seppur il 31% delle imprese stia adottando strategie significative per favorire la convergenza lavorativa tra uomini e donne.

Certificazione e gender gap

Per superare il gender gap un importante aiuto arriva dalla certificazione della parità di genere. Una normativa importantissima soprattutto perché in grado di innescare meccanismi di cambiamento interno alle aziende, che sono quanto mai urgenti e necessari. Questo il focus dell’incontro “Politiche di genere per imprese e manager. Azioni e strumenti” organizzato da 4.Manager presso la sede di Confindustria. Al dibattito hanno partecipato Elena Bonetti, Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia; Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager e Federmanager; l’avvocato Andrea Catizone, il Vicepresidente del Parlamento Europeo Pina PiciernoFrancesca Bagni Cipriani, Consigliera Nazionale di Parità; Giuseppe Torre, responsabile scientifico Osservatorio 4.Manager; Giuseppe Rossi, Presidente di Uni – Ente Italiano di Normazione e Fulvio D’Alvia, Direttore Generale 4.Manager.

“Il gap retributivo e il miglioramento dei tempi di vita e lavoro sono le aree di intervento che richiedono maggiore urgenza nel nostro Paese” ha commentato il presidente Stefano Cuzzilla. L’attuale crisi bellica ed energetica ha acuito i divari economici e sociali emersi durante la Pandemia, escludendo ancor più le donne dal mondo del lavoro con effetti negativi su tutto il settore economico e produttivo. “Per crescere” , prosegue, “abbiamo bisogno delle competenze delle donne, ma anche di un sistema organizzativo che sia in grado di valorizzarle. Il sistema di Certificazione di genere e la normativa di riferimento approvata recentemente, sono una strada effettiva che permette di azionare un meccanismo virtuoso nelle aziende con ricadute riparative importanti sulle disparità di genere. L’esperienza ci dimostra che le aziende con governance mista sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi. L’equilibrio di genere fa crescere il Pil”.

“La nuova certificazione di genere non è un bollino rosa” , ha precisato Elena Bonetti, Ministro per le Pari opportunità e la famiglia. “Ma uno strumento innovativo che definisce un processo migliorativo nel mondo dell’impresa. Un meccanismo che diventerà premiale anche per i bandi di gara del Pnrr”.

Dati sul gender gap e l’imprenditoria femminile

Oggi in Italia, sempre secondo i dati raccolti dall’Osservatorio 4.Manager, le posizioni manageriali femminili sono solo il 28% del totale. La quota si riduce al 19% se consideriamo le posizioni regolate da un contratto da dirigente, con un incremento annuo che è solamente dello 0,3% in più negli ultimi 10 anni.

L’indagine sul gender gap, condotta su un campione di 6.000 imprese manifatturiere italiane indica che solo il 14% sono a conduzione femminile contro il 79% a conduzione maschile. In particolare, le imprese a guida femminile operano per il 21% nel settore tessile e si concentrano per il 19% nel Sud Italia. Ciò significa una propensione alla concentrazione solo in alcuni settori industriali e all’auto impiego da parte soprattutto di donne del Mezzogiorno d’Italia. Le imprese femminili del settore manifatturiero hanno un ridotto grado di innovatività, ma hanno una propensione alla transizione sostenibile molto elevata. Solo il 12% di quelle femminili è altamente innovativa contro l’88% di quello maschile. Di contro il 66% delle imprese femminili ha una propensione alla transizione sostenibile contro il 34% di quelle maschili.

La strategia nazionale 2021-2026

Per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, nel Pnrr il Governo ha annunciato l’adozione di una Strategia nazionale 2021-2026 (in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 adottata dalla Commissione europea per la parità di genere). Si propone di raggiungere entro il 2026 l’incremento di 5 punti nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, che oggi vede, come si diceva all’inizio, l’Italia classificata al quattordicesimo posto tra i Paesi UE.

In quest’ottica rientra la nuova legge per la parità retributiva del 1° gennaio 2022 che ha istituito il Sistema Nazionale di Certificazione della Parità di Genere. Per il quale il Pnrr ha stanziato 10 milioni di euro, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità, come le opportunità di carriera, la parità salariale e di mansione, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.

Il possesso della certificazione prevede:

  • sgravio contributivo dell’1% sui contributi fino a 50mila euro all’anno;
  • punteggio premiale per la concessione di aiuti di Stato e/o finanziamenti pubblici in genere;
  • miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture.

Si tratta di uno strumento innovativo che, secondo l’Osservatorio 4.Manager, le aziende già avviate verso una transizione sostenibile cominciano ad apprezzare riconoscendone diversi benefici.

Le imprese si muovono

Il 31% delle imprese sta infatti adottando strategie significative per favorire la convergenza lavorativa tra uomini e donne. In particolare con interventi virtuosi: il 15,7% per favorire la genitorialità, il 13,9% per la formazione, il 13% per la parità dei ruoli apicali e infine l’8,3% a favore della parità salariale. Le grandi e medie imprese che hanno già avviato la transizione verso la sostenibilità e sono a conoscenza del Sistema di Certificazione della parità di genere sono pari al 69%, mentre le piccole si fermano al 57%.

Intervistate dall’Osservatorio, le imprese riconoscono che i potenziali benefici derivanti dal conseguimento della Certificazione della parità di genere consistono in:

  • reputazione aziendale 65%;
  • clima aziendale 59%;
  • riduzione del divario di genere nell’impresa 42%;
  • benefici fiscali 22%;
  • benefici nella partecipazione a gare d’appalto 11%
  • vantaggi nell’accesso al credito/capitali 7%.

“La certificazione della parità di genere”, ha rimarcato l’avvocato Andrea Catizone, “è uno strumento virtuoso, pensato per la prima volta a favore delle aziende e capace di innescare meccanismi dinamici. Attraverso il raggiungimento di obiettivi, KPI, che creano valore economico, favoriscono in maniera gentile il netto superamento delle disparità di genere e creano una cultura aziendale e manageriale che armonizza il principio delle pari opportunità”.

CERTIFICAZIONE DI PARITÀ DI GENERE: CHE COS’È E A CHE COSA SERVE

La legge n. 162/2021 prevede a partire dal 1° gennaio 2022 la certificazione della parità di genere sul posto di lavoro per eliminare il divario di retribuzione tra uomini e donne. Istituisce l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in ogni professione e in relazione allo stato di assunzioni, che deve essere trasmesso dalle aziende alle rappresentanze sindacali ogni 2 anni. Nel caso il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo sono previste sanzioni e verifiche da parte INL. La certificazione di parità, peraltro, è una delle misure che il Governo ha inserito nel Pnrr, nella missione 5, “Inclusione e coesione”, tra le politiche per il lavoro, destinando a questa finalità 10 milioni di euro.

6 aree di intervento contro il gender gap

La certificazione per la parità di genere, frutto del lavoro svolto con il Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese previsto dal Pnrr Missione 5, si basa sull’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione. Al fine di creare un ambiente di lavoro inclusivo delle diversità che sostengono la parità di genere.

La norma individua 6 Aree di intervento:

  1. Cultura e strategia (5.2);
  2. Governance (5.3);
  3. Processi HR (5.4);
  4. Opportunità di crescita in azienda neutrali per genere (5.5);
  5. Equità remunerativa per genere (5.6);
  6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (5.7).

Come ottenere la Certificazione

Qualsiasi azienda appartenente a qualsiasi settore di attività può certificarsi in conformità alla Parità di Genere.

L’iter di certificazione prevede:

  • richiesta di offerta e l’accettazione della stessa;
  • svolgimento di un audit di Certificazione;
  • delibera di certificazione;
  • verifiche di mantenimento con frequenza annuale.

I vantaggi della Certificazione

Gli aspetti principali dello schema di riferimento per la Certificazione della Parità di Genere sono:

  • sgravio contributivo fino a 50mila euro all’anno, alle aziende private in possesso della certificazione di pari opportunità;
  • punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere;
  • nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture, il possesso di una certificazione di parità di genere dal punteggio più alto determinerà un miglior posizionamento in graduatoria.

L’impatto della parità di genere in azienda

Diverse ricerche dimostrano che lavorare sulla parità di genere in azienda determina alcuni impatti rilevanti:

  • ambiente di lavoro più soddisfacente e attrazione di nuovi talenti;
  • scelte di business più efficaci;
  • incremento dei risultati aziendali / professionali rispetto alla concorrenza;
  • miglioramento della reputazione dell’azienda e del posizionamento sul mercato.

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