di Luigi Beccaria e Giorgia Marcotti |

Come spesso accade, le imprese e i loro professionisti di riferimento sono in agitazione non solo a causa della negativa congiuntura economica derivante dall’inflazione e dalle conseguenze del conflitto in atto nel nostro Continente. Ma devono guardarsi anche dal fronte interno, e dall’approntamento di un apparato burocratico – sanzionatorio suscettibile di moltiplicare gli adempimenti a loro carico (e, con essi, le possibilità di commettere errori od omissioni, con conseguenze in certi casi anche particolarmente afflittive).

Eppure, come si vedrà e come è del resto stato spiegato dall’autorevole Professor Arturo Maresca dell’Università Sapienza di Roma, i risvolti negativi derivanti dalla riscrittura del D.Lgs. 152/97, in recepimento della Direttiva Europea sulle condizioni di lavoro “trasparenti e prevedibili”, rischiano di essere di nocumento non solo per le categorie sopra indicate, ma anche per coloro che ne sarebbero astrattamente concepiti come beneficiari, ossia i lavoratori.

Le nuove lettere di assunzione

In estrema sintesi, lo schema del decreto prevede che la lettera di assunzione (ossia il contratto individuale di lavoro) venga integrata con un’imponente serie di informazioni, che tipicamente erano demandate per rinvio al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. L’inadempimento agli obblighi informativi (che riguarderanno, a titolo esemplificativo, istituti anche molto stratificati quali il trattamento economico – normativo in caso di malattia o infortunio) sarà cagione di sanzione per il datore di lavoro inadempiente. In tal senso, è molto semplice fotografare la previsione come punitiva per le imprese (e i relativi professionisti), aumentando la stessa, sia per gli oneri in tema di energia e di tempo, sia perché un errore umano in piena buona fede potrebbe ergersi a motivo di esborsi ulteriori ma titolo di multe.

Insomma, che la previsione sia dannosa per le imprese, recando loro solo rischi senza alcun vantaggio, è di per sé evidente. Tant’è che, nell’eventualità in cui il datore di lavoro effettui in modo incompleto o in ritardo quanto sopraindicato, è passibile di una sanzione pecuniaria fino a 1.500 euro per ogni lavoratore “non informato” (o erroneamente informato). L’aspetto paradossale risulta tuttavia che, a fronte dei maggiori oneri per i datori di lavoro, non si ha un corrispondente vantaggio per la platea dei lavoratori dipendenti, per una ragione sottile ma sostanziale. Di fatto nella lettera di assunzione verranno inserite alcune delle previsioni dei contratti collettivi (certamente più di quante se ne siano inserite sino ad ora). Ma non tutte: ciò costituirà un disincentivo per i lavoratori alla (per loro istruttiva) lettura del Ccnl, facendo sì che gli stessi si “accontentino”, a livello informativo, di quanto inserito nelle “nuove” lettere di assunzione, nel modo in cui verranno formulate.

Parallelamente, la formulazione rischia di assumere un lessico criptico e volutamente formalistico. Un po’ come avveniva per il diritto di precedenza attribuito ai lavoratori a tempo determinato e previsto come obbligatorio ex lege, in cui l’obbligo informativo veniva adempiuto con un richiamo all’intreccio di norme che disciplinava l’istituto. Ciò favorirà evidentemente formulazioni ambigue che saranno utili solamente a rimpinguare il già consistente contenzioso lavoristico presente in Italia.

La disciplina sui licenziamenti individuali

Ma non è tutto: altre modifiche hanno interessato l’approccio normativo lavoristico, con particolare riguardo alla disciplina in tema di licenziamenti individuali. Infatti, il datore di lavoro non solo ha l’onere della prova del fatto posto a fondamento dello stesso (come è sempre avvenuto), ma financo l’onere della prova negativa di non aver adottato un meccanismo discriminatorio. Nella normativa attualmente vigente, l’onere della prova grava sul datore di lavoro. Ma, una volta che l’inadempimento addebitato al lavoratore sia provato, grava sullo stesso l’onere di provare che ciò si sia verificato per causa a lui non imputabile (o che, naturalmente, non vi sia alcun inadempimento).

Sulla base della bozza di testo entrata alla riunione di governo, che riscrive in larga parte il D.Lgs. 152 del 1997, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare di non aver fatto ricorso a un licenziamento motivato nella sostanza da ragioni di credo politico o di fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacato o dalla partecipazione all’attività sindacale. Nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente. Si verifica quella che viene chiamata l’inversione dell’onere della prova, persino più intransigente delle norme oggetto del codice per le pari opportunità sulla discriminazione per sesso. In cui l’onere probatorio a carico della parte datoriale sussiste solo nel caso in cui la parte lavoratrice abbia previamente assolto all’onere su di essa gravante di fornire elementi precisi e concordanti. Desumendoli anche a livello statistico, come nell’ipotesi di un ipotetico aumento retributivo corrisposto solo agli uomini.

In sostanza, in un ambito tanto delicato quanto essenziale a livello lavoristico-sociale, quello delle pari opportunità, l’onere della prova si basa su un concetto probabilistico descritto dall’espressione “più probabile che non”. Secondo il quale, rispetto a un enunciato, si considera l’eventualità che esso possa essere vero oppure falso e l’affermazione della verità dello stesso implica che vi siano prove preponderanti. Naturalmente, la nuova disposizione che, si ribadisce, assume un assetto probatorio particolarmente sfavorevole per i datori di lavoro, rischia di avere delle ripercussioni in relazione alle contese giudiziarie dei licenziamenti discriminatori.

Approccio normativo e nuovi carichi di lavoro per i Consulenti

È chiara, in riferimento agli ultimi interventi sul lavoro, l’esistenza di un approccio normativo anti-impresa. In quanto vi è la tendenza del governo a determinare un aggravamento nell’organizzazione del lavoro anche e soprattutto per gli studi professionali, i quali devono adattarsi, repentinamente e diligentemente, al cambiamento previsto, obbligandosi a trovare un ritaglio di tempo tra le mille scadenze e gli innumerevoli impegni, scardinando un sistema già da tempo approvato, funzionale e funzionante rispetto alla platea coinvolta.

Gli studi professionali, inoltre, saranno coinvolti e interpellati continuamente dalle aziende clienti per richiedere chiarimenti in merito alle novità introdotte. In quanto tale disposizione coinvolge lavoratori e datori di lavoro, i quali saranno sommersi di informazioni difficilmente alla loro portata e faticosamente fruibili dagli stessi.


Luigi Beccaria, avvocato e consulente del lavoro, e Giorgia Marcotti, laureata in scienze politiche e relazioni internazionali, fanno parte di Studio Elit.

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