Formazione, business e neuroscienze, tra promesse e realtà

Senza inseguire pillole magiche o facili ricette per il successo, le neuroscienze possono essere applicate al business prendendo spunto da quanto, da tempo, si fa nella psicologia dello sport

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neuroscienze pixabay

di Lorenzo Dornetti | *

Uno degli scenari più interessanti e innovativi nel panorama della formazione sulle soft skills è l’applicazione delle neuroscienze. Manager e figure commerciali sono tra le popolazioni aziendali più attratte da questa tendenza. È una moda oppure un vero cambio di paradigma? Le neuroscienze sono un campo di ricerca interdisciplinare in cui la psicologia tradizionale abbraccia biologia e statistica per comprendere i meccanismi cerebrali, definendo i processi dalla biologia al comportamento.

Una prima rivoluzione le neuroscienze l’hanno già portata e si chiama “economia comportamentale”. Tutta la formazione sul ciclo di vita del cliente e sulla presa di decisioni non può prescindere oggi dai Nobel Kahneman e Thaler, due psicologi che hanno colonizzato l’economia ponendo il focus sui comportamenti reali delle persone, tra emozioni e bias.  La seconda rivoluzione che promettono le neuroscienze sembra essere ancora più d’impatto, mirando al cuore della performance. Ecco la promessa: usare la comprensione dei meccanismi cerebrali per applicare tecniche che potenziano le prestazioni mentali. In un mondo che richiede persone sempre più produttive e resilienti, avere protocolli in grado realmente di migliorare le performance cognitive e comunicative è un desiderio di chiunque abbia la consapevolezza della complessità del proprio ruolo nel contesto di mercato attuale.

Cosa c’è di vero? È necessario mettere ordine, collocando le neuroscienze nel perimetro delle pubblicazioni ufficiali, oltre i rumors.  Nel 2011 uscì il film “Limitless” con Bradley Cooper. La pellicola raccontava di uno scrittore squattrinato che grazie ad una pillola contenente un principio attivo in grado di attivare il cervello, l’NZT, diventava un re mida del business. Il film si conclude con l’ipotesi di una sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Bel film ispirato dalla storia di alcuni pazzi della Silicon Valley che avevano iniziato ad utilizzare “smart drug”. Si tratta di psicofarmaci assunti a basso dosaggio, per migliorare le performance mentali. Se un farmaco cura l’ADHD, ovvero la sindrome da disattenzione, l’idea era assumerne un dosaggio inferiore, per diventare più attento, pur non avendo patologie da curare. Il tutto fatto in una parte del mondo in cui procurarsi psicofarmaci è estremamente semplice. Molti hanno esagerato ed alcuni youtuber sono finiti in coma perché con i farmaci, anche a basso dosaggio, non si scherza.

Il Bio-Hacking

L’idea di applicare le scoperte neuro-scientifiche alla performance, senza gli psicofarmaci, ha sviluppato nel frattempo un intero filone formativo diffuso con il nome di “Bio-Hacking”. Le mode iniziano negli Stati Uniti e dopo arrivano in Europa. Il biohacking prevede di adottare abitudini che hanno impatto sulle performance mentali. Si tratta di un mix di strategie che vanno dalla quantità di caffeina giornaliera da assumere al tipo di attività fisica, passando per l’uso del freddo. L’idea di hackerare il sistema nervoso per farlo funzionare ad un livello superiore è ricca di fascino e si è diffusa rapidamente. L’autore più famoso è il controverso Dave Asprey. La sua opera più letta, neanche a farlo apposta, si intitola “Super brain”. Alcune delle strategie proposte hanno studi solidi alle spalle, altre sono aneddotiche. Inoltre, le applicazioni sono così recenti che non ci sono in letteratura studi longitudinali e in doppio cieco sull’efficacia. Probabilmente molte intuizioni sono buone, altre sono assurde; in ogni caso una parola scientifica sulla validità di questo insieme di pratiche è lontana.

Cervello e intelligenza artificiale

E infine non poteva mancare Neuralink. Si inizia a parlarne nel 2017, l’idea è amplificare le potenzialità del sistema nervoso grazie all’interazione con l’intelligenza artificiale attraverso un microchip. Si tratta di un progetto fantascientifico che oltre ad avere un potenziale impatto sulla cura di malattie come l’Alzheimer, avrebbe come immediata ricaduta la creazione di un super cervello umano potenziato dall’intelligenza robotica. Al di là delle dichiarazioni roboanti trascinate dalla presenza di Elon Musk tra i founder, ad oggi, a parte alcuni semplici sulla muscolatura dei suini, non esistono informazioni pubbliche e dimostrabili sullo stato di avanzamento di questi progetti. Questa analisi derubrica come una promessa questa seconda rivoluzione delle neuroscienze sul panorama formativo.

Neuroscienze e sport

In realtà però un’applicazione delle neuroscienze alle performance è già molto diffusa nella psicologia dello sport. Molti sportivi allenano la propria capacità di concentrazione e ripresa dallo stress applicando solidi protocolli di biofeedback e neuro-feedback. Per Neuro-bio-feedback si intende l’applicazione di tool in grado di trasformare in segnali visivi e uditivi alcuni parametri fisiologici. Attraverso l’applicazione di sensori, la persona prende consapevolezza della propria biologia nervosa, ne assume il controllo e quindi migliora le performance mentali. Gli sportivi usano questi protocolli da molti anni, esistono centinaia di studi che ne comprovano l’efficacia. Usano i rilevatori di GSR (Galvanic Skin Response) per controllore lo stress, visto che l’eccesso di pressione interferisce con le performance cognitive. Allenano le onde beta grazie a sedute con l’elettroencefalogramma per aumentare i livelli di concentrazione. Usano gli eyetracking per migliorare la capacità di cogliere i dettagli, bloccando l’attenzione automatica.

Immaginate di essere un grande golfista, uno di quelli che partecipa a tornei milionari. I competitor sul green sono tutti allo stesso livello. La performance sportiva dipende molto dal funzionamento mentale. Saper controllare lo stress, aumentare la concentrazione e cogliere i dettagli fa la differenza. Gli allenamenti di neuro e biofeedback richiedono attrezzature specifiche e trainer in grado di aiutare le persone a prendere consapevolezza e controllo dei loro parametri fisiologici per migliorare alcune soft skills.

Dalla psicologia dello sport al business

E adesso torniamo al business. Un manager deve saper controllare gli stress eccessivi, per non perdere priorità e lucidità. Un venditore deve saper cogliere i dettagli del cliente, per catturare la sua attenzione. Un analista deve controllare diversi dati, mantenendo elevati standard di concentrazione nel tempo per realizzare un report efficiente alla direzione. Allenare le persone chiave in azienda applicando i medesimi protocolli che usano i professionisti degli sport ad alto impatto mentale è l’unica strategia scientificamente fondata per applicare le neuroscienze in azienda. Applicazioni al business iniziano ad essere pubblicate sia da università come IULM e LUISS e sia da aziende private come il BRAIN FITNESS LAB. In tutti gli sport la parte mentale gioca un grande ruolo, ma in alcuni sono più determinanti della parte fisica. E allora, senza inseguire pillole magiche o facili ricette per il successo, questa seconda rivoluzione delle neuroscienze potrebbe essere già qui, bastava solo sbirciare dal buco della serratura della psicologia dello sport.

* direttore del Neurovendita Lab


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