Quando il lavoro “chiama”

La nuova vita del lavoro “a chiamata” tra limiti e condizioni: le peculiarità del lavoro intermittente e gli aspetti maggiormente rilevanti sotto il profilo della sua gestione.

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di Mario Pagano |

Con l’abrogazione dei voucher, solo in parte sostituiti dal nuovo lavoro occasionale e dal libretto di famiglia, introdotti con il D.L. n. 50/2017, convertito con modificazioni dalla legge n. 96 del 21 giugno 2017, e mai pienamente decollati per la complessità di gestione, le attenzioni degli addetti ai lavori e di quanti cercavano una figura contrattuale alternativa, si sono concentrate sul lavoro intermittente. Un fenomeno ulteriormente acuito dalle recenti novelle apportate alla disciplina del lavoro a tempo determinato, con l’ormai famoso “Decreto Dignità”, D.L. 87/2018 che, in prospettiva, ne ha ridotto la capacità assunzionale.

Le peculiarità del lavoro intermittente

Cerchiamo dunque di esaminare le peculiarità del lavoro intermittente e gli aspetti maggiormente rilevanti sotto il profilo della gestione. L’articolo 13 del D.lgs. n. 81/2015 definisce il lavoro intermittente come il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. Pertanto, elemento ontologico di tale figura prevista dall’ordinamento è il quantum della prestazione lavorativa ossia la capacità di intercettare e regolare attività di natura subordinata ma essenzialmente discontinue. In altre parole, a differenza di un normale contratto di lavoro subordinato, sia a tempo indeterminato che determinato, ove il datore di lavoro e il lavoratore si impegnano a garantire un certo numero di ore di lavoro predeterminato (si pensi ai contratti a tempo pieno oppure ai contratti part-time dove, per legge, è necessario specificare, a pena di nullità, la percentuale di part-time e il numero di ore contrattualmente previste), nel lavoro intermittente o, come nella prassi viene anche definito, “a chiamata” il datore di lavoro non è preventivamente obbligato a far lavorare il proprio dipendente un certo numero di ore fisse, ma solo quelle necessarie alle proprie esigenze imprenditoriali. Queste ultime rappresentano il parametro per il calcolo della retribuzione e non solo. Il comma 2 dell’articolo 17 chiarisce, infatti, che il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente, è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale.

La legittimità del contratto intermittente

L’assoluta particolarità di questa figura contrattuale comporta l’esistenza di una serie di condizioni normative per la sua validità. Innanzitutto, come chiarito dal Ministero del Lavoro con circolare n. 20 del 01/08/2012, la prestazione lavorativa in regime di lavoro intermittente deve effettivamente essere discontinua, ossia intervallata da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia coincidenza tra la “durata del contratto” e la “durata della prestazione”. Alla luce di tale esigenza va letto il comma 3 dell’articolo 13, secondo il quale, con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Altro aspetto riguarda l’esistenza di condizioni oggettive o soggettive per la legittimità del contratto intermittente, che può essere stipulato, alternativamente, se tale tipologia contrattuale è stata disciplinata dai contratti collettivi del settore in questione o con determinati soggetti, aventi precisi requisiti di età. Sotto il primo profilo appare necessario verificare se il contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale, stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ha disciplinato tale figura. In difetto, come chiarito dal Ministero del Lavoro con interpello n. 10 del 21 marzo 2016, potrà intervenire il D.M. 23 ottobre 2004, ai sensi del quale “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657”. Cosa accade se l’attività svolta dal datore di lavoro non rientra nell’elenco in questione ovvero il Ccnl vieta espressamente il ricorso al lavoro intermittente? In tal caso l’unica possibilità è ricorrere ai requisiti soggettivi, ossia il lavoratore assunto con contratto intermittente, come previsto dal comma 2 dell’articolo 13, deve avere meno di 24 anni di età e le prestazioni lavorative devono essere svolte entro il venticinquesimo anno, oppure più di 55 anni.

L’obbligo della comunicazione

Dal punto di vista gestionale, si ricorda che, per prevenire eventuali abusi di questa particolare figura, il legislatore, già con la legge n. 92/2012, ha previsto per il datore di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, l’obbligo di effettuare una comunicazione contenente il nominativo del lavoratore e la giornata o le giornate nelle quali avverrà la prestazione lavorativa. Tutto ciò per evitare che, a fronte di prestazioni lavorative svolte, stante la non obbligatorietà di un certo numero di ore contrattualmente stabilite, fossero omesse le registrazioni nel libro unico del lavoro, soprattutto a fini previdenziali, assicurativi e fiscali, eventualmente retribuendo “in nero” il lavoratore. La comunicazione che, secondo il dm 27 marzo 2013, può essere effettuata attraverso il sito ClicLavoro, mediante posta certificata, apposita App o sms, comporta, in caso di omissione, l’irrogazione di una sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400, in relazione a ciascun lavoratore interessato.

Quando è vietato il lavoro intermittente

Non va, poi, dimenticato che, secondo l’articolo 14, il ricorso al lavoro intermittente è vietato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente; ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi, in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Tale ultimo aspetto, spesso sottovalutato, ha un rilievo fondamentale anche perché, come chiarito dal Ministero del Lavoro, con circolare 20/2012 non è sufficiente che il Dvr sia stato elaborato, in quanto lo stesso deve essere attuale e adeguato alle condizioni strutturali, logistiche e organizzative della realtà aziendale nonché, ciò che più conta, contenere un’apposita sezione che esamini le problematiche di formazione e informazione proprie dei lavoratori a chiamata. In tal senso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con lettera circolare n. 49 del 15 marzo 2018, ha sottolineato che la violazione di tale ultima disposizione in materia di Dvr comporta la trasformazione del rapporto di lavoro in un rapporto subordinato a tempo indeterminato.


*Mario Pagano è componente del Centro Studi Attività Ispettiva dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.


Intermittente, a chiamata o job on call

Si tratta di un contratto che si può attivare qualora si presenti la necessità di utilizzare un lavoratore per prestazioni con una frequenza non predeterminabile, permettendo al datore di lavoro di servirsi dell’attività del lavoratore, chiamandolo all’occorrenza. Sono spesso assunti con questa tipologia contrattuale i lavoratori dello spettacolo, gli addetti al centralino, i guardiani, receptionist. La disciplina normativa è contenuta nel Decreto Legislativo di riordino delle tipologie contrattuali (D.lgs. 81/2015).


 

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