Controllare i dipendenti in smart working: cosa dice la norma

L’analisi dello Studio legale Daverio & Florio evidenzia le differenze normative tra Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna, Germania, Svizzera, Irlanda, Svezia, Belgio e Australia

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Controllare i dipendenti che lavorano da casa: la normativa

Il datore di lavoro può controllare i dipendenti che lavorano da casa? Se sì, con quali modalità?

Secondo l’analisi dello Studio legale Daverio & Florio, in Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Australia è possibile controllare i dipendenti anche con l’utilizzo di strumenti esterni, come i software, ma bisogna rispettare alcune limitazioni. Al contrario, in Germania, Svizzera, Irlanda, Belgio e Svezia ci sono maggiori restrizioni sui controlli.

Le limitazioni italiane

Il datore di lavoro italiano è autorizzato a controllare le attività lavorative dei propri dipendenti, anche se lavorano da remoto, ma con alcune limitazioni specifiche. Innanzitutto, i sistemi di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, come i software, possono essere utilizzati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza sul lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale. E possono essere installati solo previo accordo sindacale e a condizione che i dipendenti ne ricevano adeguata informazione.

Inoltre, il controllo degli strumenti di lavoro e degli strumenti utilizzati per la registrazione degli accessi e delle presenze dei dipendenti (es. badge di accesso) non richiede un accordo sindacale. Ma i dati raccolti potranno essere utilizzati per tutte le finalità connesse al rapporto di lavoro, sempre a condizione che ne sia data adeguata informativa ai dipendenti.

Controllare i dipendenti smart worker all’estero

Anche in Olanda il datore di lavoro ha il permesso di controllare le attività lavorative del dipendente a casa. Ma deve attenersi a certe condizioni di diritto alla privacy. Va infatti condotta una valutazione di data protection impact. Se l’azienda ha un comitato aziendale, deve anche approvare il sistema di monitoraggio. In aggiunta, il lavoratore deve essere informato prima del monitoraggio, indicando quando e perché l’audit sarà fatto. In casi eccezionali, il datore può condurre un audit senza informare il lavoratore, ma ci devono essere ragionevoli sospetti di attività illegali. Infine, è importante che il lavoratore sia comunque informato del controllo a posteriori.

Stessa linea nel Regno Unito. I datori di lavoro possono controllare i dipendenti verificando l’uso della posta elettronica e le visite dei siti web. E anche con la registrazione e l’ascolto telefonate. Ma devono assicurarsi che il livello di monitoraggio rimanga proporzionato e ragionevole per raggiungere l’obiettivo di garantire salute e sicurezza dei dipendenti. E di rispettare gli obblighi previsti dalla normativa sull’orario di lavoro. Tutte le modalità di controllo devono sempre rispettare le leggi su diritti umani e protezione dei dati. Anche in Spagna è possibile controllare i dipendenti in smart working, ma solo quando gli strumenti utilizzati sono di proprietà aziendale (es. laptop). Il controllo deve comunque rispettare la normativa sulla privacy. Come altrove, qualsiasi controllo deve essere equilibrato e proporzionato.

Mentre in Belgio non ci sono leggi specifiche sul telelavoro. Valgono le stesse regole adottate per chi è in ufficio, ma il diritto di controllare i dipendenti a casa è comunque riconosciuto. Il datore di lavoro può esercitare un controllo appropriato e proporzionato sui risultati e/o sulla performance lavorativa. Ciò significa assicurarsi che il lavoro da svolgere nel contesto dello smart working sia stato eseguito. Allo stesso tempo, deve assicurarsi, in particolare riguardo ai software, che i dati del lavoratore siano protetti.

Cosa accade oltreoceano? In Australia i datori di lavoro possono legittimamente implementare un software che monitori l’attività informatica di un dipendente. Compreso controllo delle e-mail, dell’uso di Internet e dell’attività di digitazione. I requisiti variano a seconda delle giurisdizioni degli Stati e dei territori australiani. In generale, la sorveglianza si avvia in base a una politica dettagliata e dopo aver fornito una notifica scritta dell’attuazione.

Le nazioni “no software”

In Germania, invece, i datori di lavoro generalmente non possono adottare sistemi di controllo come i software (eccetto una sospetta attività criminale). Possono tuttavia registrare il tempo di lavoro dei dipendenti, ad esempio attraverso i dati di login. Il datore deve sempre prendere in considerazione diritti di cogestione dei sindacati e leggi sulla protezione dati. In Svizzera, invece, il datore di lavoro deve registrare le ore di attività del dipendente, indipendentemente che lavori in ufficio o a casa, e può decidere quale metodologia adottare. Ma non è concesso installare software che monitorino l’attività dei dipendenti.

Per quanto riguarda l’Irlanda, ad oggi non esiste una legislazione. Nel decidere se o quanto monitorare, i datori di lavoro dovranno rispettare i diritti costituzionali dei loro dipendenti. Tra cui il diritto alla privacy e il rispetto della vita familiare. I datori di lavoro devono inoltre rispettare il Data Protection Act 2018 e il GDPR. Per adempiere pienamente ai loro obblighi, devono trattare i dati personali dei propri dipendenti in modo lecito, equo e trasparente, per uno scopo specifico, esplicito e legittimo. I dati raccolti devono essere limitati a quanto necessario in relazione alle finalità per cui vengono trattati. Anche in Svezia le stesse responsabilità si applicano all’azienda, indipendentemente dal luogo di lavoro del dipendente. Tuttavia, la possibilità di controllare un dipendente in smart working è limitata per motivi di privacy.

 

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