L’Unione nazionale sindacale imprenditori e coltivatori (Unsic) è un’organizzazione nata nel 1996 su iniziativa di un gruppo di imprenditori fermamente intenzionati a intercettare e a far propri i bisogni del comparto primario nel momento di sua fase di massima trasformazione.
Da quest’anno Unsic, che ormai conta circa quattromila uffici sul territorio nazionale, in massima parte Caf e sedi di Patronato, fa anche parte del Cnel, in rappresentanza delle imprese. Abbiamo incontrato il presidente Domenico Mamone per conoscere lo stato occupazionale del settore, le nuove competenze necessarie e l’importante ruolo svolto in questo senso dalla formazione.
La parola “coltivatori” fa parte, sin dalla fondazione, della denominazione dell’organizzazione da lei presieduta. A quasi tre decenni dalla costituzione dell’Unsic, il riferimento all’agricoltura mantiene ancora una funzione primaria?
Certamente sì, nonostante il settore primario sia notevolmente cambiato in questo periodo, segnato dall’irrompere dell’agricoltura 4.0, con un ruolo ormai centrale assunto dall’innovazione. Il nuovo modo di lavorare sui campi ha trasformato gli scenari e rese più complesse, ma anche stimolanti, le sfide. Va ricordato, però, che le finalità rimangono più o meno le stesse: migliorare la resa produttiva, salvaguardare la qualità, contenere i costi.
A tutto ciò si aggiunge la sostenibilità, ormai un imprescindibile punto di riferimento in particolare nella riduzione dell’impatto ambientale, dall’ottimizzazione delle risorse idriche al taglio degli agenti inquinanti. La tradizionale e diffusa idea che l’agricoltura sia un settore antiquato, pertanto, sta definitivamente tramontando. Oggi la quotidianità dei nostri associati è fatta di digital transformation, tra tecnologie innovative e sempre più specifiche nei singoli comparti, automazione dei processi, integrazione e analisi dei dati provenienti dai sensori, intelligenza artificiale, droni, precision farming, cioè agricoltura di precisione. È chiaro che per gestire la trasformazione un ruolo chiave è assunto dalla formazione.
Il riferimento alla formazione è quindi inevitabile. Quali sono le nuove competenze necessarie per fare agricoltura 4.0?
Ormai la piattaforma digitale è una conditio sine qua non, è una condizione indispensabile per la gestione dell’impresa agricola. Tuttavia, gran parte della superficie dei nostri campi ancora non conosce le tecnologie innovative, anche per la frammentazione del comparto. Per cui ci sono margini enormi di crescita, ma occorrono tanta conoscenza e formazione. Penso, ovviamente, all’articolazione dell’intelligenza artificiale, alla robotica, ai trattori con guida autonoma. O alla meccatronica, cioè alla capacità di far interagire la meccanica, l’elettronica e l’informatica per ottimizzare i sistemi di produzione: qui la richiesta di nuove figure professionali è enorme.
Ci sono poi le soluzioni legate alla statistica e ai dati, ai cosiddetti big data, per migliorare la produttività. C’è il capitolo della tecnologia blockchain per assicurare la tracciabilità dei prodotti agroalimentari. Penso ai passi enormi che sta facendo la ricerca, con la messa a punto di nuovi componenti per la sicurezza alimentare. O ancora al decision support system, il software di supporto alle decisioni che surclassa i modelli della ricerca operativa. Acquisire padronanza di queste tecnologie, specie per un giovane, equivale ad avere sicure chances per il futuro. E per noi imprenditori significa garantire l’aggiornamento costante del nostro sistema, in linea con la serrata competizione imposta dalla globalizzazione.
Come si colloca l’Italia in questa sfida globale incentrata sulla capacità innovativa?
Nonostante l’innata tendenza all’autoflagellazione verbale, il nostro Paese presenta diverse eccellenze. Le nostre facoltà di Agraria, ad esempio, formano validi professionisti, in genere già padroni delle nuove tecnologie. La tradizionale vocazione italiana all’agricoltura di qualità ci favorisce. Corsi di formazione specifici non mancano e, in linea di massima, sono validi. Anche l’apparato industriale organizza corsi molto mirati, ad esempio sulla robotica e sui big data, a seconda della specializzazione aziendale. C’è un impegno costante verso l’innovazione anche da parte dei rivenditori di trattori e macchine agricole o di apparecchiature informatiche.
I problemi, semmai, sono quelli atavici legati al sistema-Paese, con il peso eccessivo della burocrazia e una diffusa inefficienza nel supportare il ‘fare impresa’. Molti giovani che fuoriescono dai canali di istruzione e di formazione provano a mettersi in proprio, in particolare attivando dinamiche start-up. Quasi sempre, i problemi vengono dall’esterno, dalle difficoltà conseguenti ai lacci e lacciuoli generati dall’esigenza della ridda di autorizzazioni imposte dalla pubblica amministrazione, talvolta da norme confuse. Ma anche dalla sovrapposizione di competenze.
Può farci qualche esempio di giovani start-up italiane di successo?
C’è una giovane start-up siciliana, la Lualtek dei fratelli Occhipinti, che ha ideato un innovativo sistema per la prevenzione della peronospora sparsa. Il sistema di intelligenza artificiale utilizza reti di trasmissione senza internet e wireless, funzionanti anche in mancanza di energia elettrica. Due sensori, il termoigrometro e il misuratore di bagnatura fogliare, permettono di monitorare costantemente la pianta. La sperimentazione è stata condotta per due anni in due aziende siciliane per la coltivazione delle rose e dei piccoli frutti, con la raccolta di oltre due milioni di dati. Il futuro è già iniziato.
Un ruolo importante per l’Agricoltura 4.0 è svolto anche dai contoterzisti…
Certamente sì. Per dimensioni aziendali ed economie di scala primeggiano nell’acquisto delle attrezzature più innovative e le loro associazioni di settore promuovono validi corsi di formazione per gli associati. Quasi sempre in collaborazione con le aziende di riferimento. C’è un solo problema: la loro età media è avanzata, per cui non è sempre facile l’aggiornamento.
Qual è, in termini complessivi, lo stato di salute del settore agricolo nel nostro Paese?
Il comparto risente di quelle problematiche, da congiuntura internazionale, che investono tutti i settori produttivi. Negli ultimi tre anni abbiamo prima patito le gravi conseguenze della pandemia, poi l’instabilità dei mercati internazionali delle materie prime agricole e dei prodotti energetici è stata accentuata dall’invasione russa in Ucraina e dall’inflazione. Tutto ciò ha generato un rilevante rialzo dei prezzi con pesanti ricadute sui costi di produzione.
La ripresa c’è, ma è frenata dal sostenuto aumento dei costi dei fattori di produzione, ma anche dalla siccità, fenomeno che ha contraddistinto l’intera annata influendo su volumi e qualità di molte colture. Comunque, al netto della variazione dei prezzi, nel 2022 la produzione dell’agricoltura si è ridotta dello 0,7% in volume. L’annata, come attesta l’Istat, è stata propizia per le colture frutticole, il florovivaismo e il vino, mentre è stata negativa soprattutto per l’olio d’oliva e i cereali.