Ancora tanti gli obiettivi da centrare

"Promuovere un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti" è tra gli obiettivi del Goal 8 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Il Rapporto Istat presenta la strada italiana dell'ultimo anno e la situazione attuale

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Obiettivi di sviluppo sostenibile in Italia

di Cleopatra Gatti |

L’ultimo Rapporto dell’Istat sugli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” presenta la strada che si è percorsa in Italia nel corso dell’ultimo anno.

La pandemia ha lasciato ovunque le sue cicatrici, ma il periodo descritto attraverso i tanti indicatori raccolti nel volume ha al proprio attivo, anche grazie all’avvio degli interventi del Pnrr, la ripresa di alcuni processi che avevano subito rallentamenti e alcuni recuperi dove c’erano stati arretramenti. Alcuni, ma non tutti. Molte debolezze strutturali si sono estese e aggravate per bambini, giovani, donne e persone in condizione di povertà e di marginalità, soprattutto nelle aree interne e nel Mezzogiorno.

Le conseguenze della guerra in Ucraina sono state significative e nel 2022 hanno segnato la vita sociale ed economica del Paese, con contraccolpi su fenomeni migratori, sicurezza energetica e costo della vita. In seguito l’andamento dell’Italia rispetto ai goal dell’Agenda 2030.

Il Goal 8 degli obiettivi di sviluppo sostenibile

Per quanto riguarda il Goal 8 di nostro interesse, il cui scopo è promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti, l’analisi rivela che nel 2022 è rallentata la ripresa dell’attività economica. Ma che in questo anno si è verificata un’importante ripresa del mercato del lavoro italiano, nonostante il divario con l’Europa rimanga molto alto.

Anche il tasso di disoccupazione è diminuito soprattutto per i giovani, nonostante rimangano ampi i differenziali territoriali, di genere e generazionali. Inoltre, dopo l’intenso sviluppo registrato nella fase emergenziale, i lavoratori da remoto scendono al 12,2%.

L’occupazione recupera, ma l’Italia è in fondo alla classifica

Il 2022 segna un’importante ripresa del mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione dei 20-64enni aumenta di 2,1 punti percentuali, raggiungendo il 64,8% e recuperando i livelli pre-pandemia. Il rialzo del tasso di occupazione è generalizzato nel contesto dell’Unione, nel quale l’Italia registra una delle migliori performance, superiore alla media dell’Ue27 (+1,5%.). L’andamento positivo dell’ultimo anno riduce tuttavia solo marginalmente l’ampio divario tra il nostro Paese e l’Unione Europea (il valore medio Ue27 è 74,6%), che, ancora nel 2022, ammonta a -9,8%. Inoltre, per la componente femminile, è superiore (-14,3%) a quella maschile (-5,3%).

Nell’ultimo decennio, la quota di occupati sulla popolazione di 20-64 anni – aumentata nell’Ue27 di 7,7 punti percentuali – è salita in Italia di soli 4,6 punti. Un incremento leggermente superiore alla Francia, ma inferiore a Germania e Spagna. Nel 2022, l’Italia scivola all’ultimo posto nella graduatoria europea del tasso di occupazione. La ripresa dell’ultimo anno ha riguardato l’occupazione dipendente più dell’autonoma. Interessando in misura superiore alla media l’industria, soprattutto le costruzioni, e i servizi di mercato. Le categorie che hanno beneficiato di una più robusta espansione del tasso di occupazione sono gli uomini (+2,3% contro +1,8%), i giovani (+3,8% per 20-24enni e +3,5% per i 25-34enni) e gli stranieri (+2,8% verso +2,0% per gli italiani).

Obiettivi di sviluppo sostenibile: il tasso di disoccupazione nel periodo 2021-2022

Divario geografico e di genere

Il gap di genere torna a crescere (con una quota di occupati pari al 75% tra gli uomini e al 55% tra le donne) e raggiunge i 19,7 punti percentuali, un livello doppio rispetto a quello dell’Ue27. I 20-24enni riducono le distanze con le fasce più anziane di popolazione, ma continuano a registrare un tasso di occupazione (35,3%) pari a poco più della metà del valore medio nazionale.

La dinamica degli ultimi anni ha dato luogo a una lieve riduzione degli squilibri territoriali a svantaggio del Mezzogiorno che, oltre ad aver ripristinato sin dallo scorso anno i livelli occupazionali pre-pandemia, cresce nel 2022, insieme al Centro, in misura superiore (rispettivamente +2,0% e +2,5% rispetto al +1,8% del Nord). Le distanze rimangono comunque ampie, con un tasso di occupazione del 51,1% nel Sud e del 49,3% nelle Isole rispetto al Centro (69,7%) e al Nord (Nord-Ovest 72,6% e Nord-Est 74,1%).

La disoccupazione diminuisce, con benefici per i giovani

Nel 2022, nel nostro Paese, il tasso di disoccupazione si è attestato all’8,1%, segnando un calo di 1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente e di 2,8 punti rispetto a dieci anni fa. La dinamica della disoccupazione è correlata a quella dell’inattività. Il tasso di mancata partecipazione segna una contrazione ancora più rilevante rispetto al tasso di disoccupazione (-3,2%), attestandosi al 16,2%. Nell’ultimo anno, anche rispetto al tasso di disoccupazione, l’Italia si distingue per progressi di portata superiore sulla media dei 27 Stati Membri. Il divario con il profilo medio europeo si riduce da 2,4 a 1,9 punti percentuali, ma il nostro Paese, ancora nel 2022, è secondo solo a Grecia e Spagna nel ranking del tasso di disoccupazione.

Gli andamenti dell’ultimo anno lasciano profondi divari territoriali, di genere e generazionali e, in alcuni casi, li rafforzano. È il caso del gap di genere, che sale da 1,9% nel 2021 a 2,3% nel 2022. La quota di persone in cerca di occupazione resta nettamente superiore nel Mezzogiorno (13,9% al Sud e 15,1% nelle Isole) – con difficoltà particolarmente pronunciate in Campania (17,1%), Sicilia (16,6%) e Calabria (14,6%), nelle fasce di popolazione con più basso livello di istruzione (11,6% per chi ha al più la licenza media contro 4,1% per le persone con titolo terziario) e tra i più giovani (23,7% per i 15-24enni e 11,4% per i 25-34enni, in miglioramento rispetto all’anno precedente).

Le difficoltà occupazionali sperimentate dai giovani trovano un riscontro anche nella quota di Neet. I 15-29enni che non lavorano e non studiano sono 19 su 100. Nonostante il notevole decremento dell’ultimo anno (-4,1%), l’incidenza dei Neet resta superiore alla media Ue27 (11%).

Permane il part-time involontario e cala lo smart working

Il recupero occupazionale dell’ultimo anno si associa a un lieve miglioramento dell’incidenza dei lavoratori “non standard” in condizioni di vulnerabilità. Il numero di occupati con part-time involontario scende da 11,3% a 10,2%. Quello di occupati in lavori a termine da almeno cinque anni da 17,5% a 17,0%.

La non piena intensità lavorativa rispetto alla disponibilità del lavoratore e la precarietà contrattuale si confermano come problemi prevalenti nei mercati del lavoro meridionale e centrale, per gli stranieri, per le fasce di popolazione meno istruite. Il lavoro a tempo parziale non volontario penalizza soprattutto le donne (17% versus 6% per gli uomini) e i giovani (19% per i 15-24enni e 12% per i 25-34enni). Non altrettanto può dirsi per la quota di lavoratori a tempo determinato da oltre cinque anni, che risulta molto simile tra uomini e donne e più elevata tra i più anziani.

Cala anche il lavoro da casa, nonostante quasi un terzo dei laureati svolga attività da remoto. Nel 2020, durante la fase più intensa della pandemia, la percentuale di occupati che lavoravano da casa sul totale degli occupati era quasi triplicata rispetto all’anno precedente. Nel 2021, la crescita aveva rallentato. Nell’ultimo anno, la tendenza alla crescita si inverte (-2,6%) e la quota si attesta al 12,2%.

Persiste in alcuni settori l’occupazione irregolare

Continua il costante, sebbene lento, processo di riduzione della percentuale di occupati non regolari sul totale dell’occupazione, che raggiunge il 12%. Anche come conseguenza di un impatto particolarmente accentuato della crisi sociosanitaria sull’economia non osservata. La flessione dell’ultimo anno interessa in particolar modo le attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, riparazione di beni per la casa e altri servizi e, più in particolare, i servizi alle famiglie, ma entrambi i settori si confermano come quelli a più elevato tasso di occupazione irregolare (rispettivamente, 40,3% e52,3%). L’agricoltura, in cui quasi un quarto degli occupati sono “non regolari”, registra un ulteriore incremento.

L’occupazione irregolare si conferma più diffusa tra i lavoratori dipendenti rispetto agli autonomi e nel Mezzogiorno (16,7%) e nel Centro (12,4) rispetto al Nord (9,7% per il Nord-ovest e 8,9% per il Nord-est). Nel 2021, dopo il sensibile aumento determinato dai provvedimenti governativi per contenere gli effetti sull’occupazione della crisi dell’anno precedente, la spesa pubblica per le misure occupazionali e la protezione sociale dei disoccupati scende, mantenendosi però su livelli superiori alla fase pre-pandemica.

L’incidenza sul Pil passa da 2,7% a 1,9%. Quella sul totale della spesa pubblica da 4,8% a 3,4%. Il decennio si chiude con un saldo positivo delle spese per l’occupazione e la protezione dei disoccupati dello 0,9%, in rapporto al Pil, e dell’1,4%, in rapporto alla spesa pubblica complessiva.

Stabile il tasso di infortuni sul lavoro

Dopo la consistente contrazione del 2020, connessa al fermo parziale delle attività produttive e all’aumento del lavoro da casa, nel 2021 il tasso di infortuni mortali e inabilità resta sostanzialmente stabile a 10,2 per 10.000 occupati, in calo del 10,5% rispetto al 2019. La frequenza degli infortuni mortali e delle inabilità permanenti in rapporto agli occupati si conferma più elevata della media nel Centro (10,7%) e, ancor più, nel Mezzogiorno (12,0%), e inferiore nel Nord (8,0%).

Nonostante una tendenziale convergenza nel corso del tempo, i differenziali tra regioni sono ancora consistenti. La regione a maggior rischio di infortuni (la Basilicata, con 18,9 infortuni mortali e inabilità permanenti su 10.000 occupati) si colloca su livelli pari a 2,5 volte quelli delle regioni a minor rischio (Piemonte, Lazio e Friuli Venezia-Giulia, con 7,5). Il tasso di infortuni – nettamente superiore tra gli uomini che tra le donne – aumenta all’aumentare dell’età dei lavoratori.

Tali andamenti risentono anche del diverso peso relativo di queste categorie di lavoratori nei settori occupazionali a maggior rischio di infortunio e della differente struttura economica a livello territoriale.

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