Siamo ormai stanchi di ripeterlo, ma anche stavolta tocca partire da qui: la pandemia ha influenzato l’approccio al lavoro delle persone.
Un po’ a causa dei nuovi modelli di ibridi e a remoto, un po’ per l’evoluzione dei dipendenti stessi, oggi molto più attenti al bagaglio valoriale dell’impresa. Lato manager, diventa sempre più difficile valutare il personale e anche farlo sentire parte di un progetto condiviso. Non a caso, dunque, nel recente studio “Some employees are destroying value. Others are building it. Do you know the difference?” gli esperti di McKinsey affermano che più della metà dei lavoratori dipendenti si sente improduttiva sul lavoro.
Ma a partire da questo dato, mostra anche come le aziende possano tornare a coinvolgere le persone, a motivare i dipendenti, servendosi di una serie di archetipi e potenziando l’impatto dei talenti sull’organizzazione.
Come motivare i dipendenti e aumentare il benessere?
Applicando una strategia orientata al miglioramento delle prestazioni e alla fidelizzazione. A patto, però, che i leader abbiano già compreso che le persone non sono numeri e i team non sono il risultato di una semplice somma. Primo passo, dunque, non applicare una visione monolitica dei dipendenti, ai quali approcciarsi invece con un modello strategico segmentato. McKinsey identifica anche 6 categorie di dipendenti, “spalmate” lungo uno spettro che comprende soddisfazione, coinvolgimento, performance e benessere. E aiuta le aziende a capire quali azioni possano cambiare o mantenere la situazione.
Ecco gli archetipi, che riportiamo nell’originale e più efficace vocabolo inglese e nella nostra libera traduzione:
- Quitter: il rinunciatario;
- Disruptor: il perturbatore;
- Midly disengaged: il mediamente distaccato;
- Double-dipper: il doppio tuffatore;
- Reliable and committed: l’affidabile e impegnato;
- Thriving star: l’astro nascente.
Quitter: diretti all’uscita
Questo archetipo rappresenta tipicamente il 10% della forza lavoro di un’azienda. Talvolta capita che gli sia stata offerta un’opportunità lavorativa migliore ma, spesso, il motivo per cui cambia impiego è l’insoddisfazione. Un sentimento pervasivo, frutto del sentirsi sottovalutato. Cosa fare? L’azienda potrebbe iniziare a identificare i lavoratori a rischio prima che valutino altre offerte. Inoltre, è centrale la presenza di leader connessi con i propri team, così da monitorare il morale delle persone, farle sentire apprezzate e garantire che le retribuzioni dei benefit siano almeno alla pari con la media del mercato.
Disruptor: impegnati a demoralizzare gli altri
Questo gruppo rappresenta statisticamente un altro 11% dei dipendenti. La sua influenza è potenzialmente molto negativa, non necessariamente come causa di azioni dirette, ma anche per il clima aziendale nel suo complesso. Queste persone risucchiano la motivazione e “buttano” lavoro extra sugli altri, minandone il morale soprattutto quando viene loro concesso un qualunque tipo di riconoscimento. I leader dovrebbero proprio evitare l’ingresso di nuove persone in questo archetipo, anche per limitare la proliferazione di senso di ingiustizia tra i migliori. E operare strategicamente per estrarre il prima possibile le persone da questa categoria, orientandole con i fatti verso un archetipo positivo. L’azione ottimale, in tal senso, è fornire opportunità di crescita professionale, magari un cambio di ruolo o di team. Inoltre, i leader non devono mai smettere di garantire il riconoscimento delle prestazioni eccellenti.
Poco impegnati: obiettivo, il minimo indispensabile
McKinsey stima che questo gruppo costituisca circa il 32% della forza lavoro. L’archetipo si riferisce a persone assolutamente poco proattive, che decidono di fare il minimo indispensabile. In quanto insoddisfatti, non vivono adeguati livelli di benessere e prestazioni. Qui, i manager possono impegnarsi strategicamente come nel caso dei distuptor, purché si aggiunga una maggiore flessibilità circa luogo e tempo del lavoro. La maggiore autonomia, infatti, potrebbe far riconquistare l’entusiasmo.
Double-dipper: fanno segretamente due lavori
Si tratta all’incirca del 5% del capitale umano dell’azienda. Il doppio-tuffatore è un archetipo insolito, in quanto presente lungo tutto l’intervallo della soddisfazione. Le ragioni per cui svolge due lavori varia, infatti, a seconda del posizionamento. Il ritorno in ufficio, abbandonando lavoro da remoto o ibrido, difficilmente potrà portare miglioramenti. Al contrario, una Ral adeguata e le possibilità di crescita professionale, oltre a frenare il prolificare di questo tipo di casistica, contribuiranno notevolmente a ridurre la volontà (o la necessità) di arrotondare con altri lavori.
Affidabili e impegnati: valgono tantissimo
Questo gruppo costituisce il 38% dei dipendenti. È composto da persone che supportano i colleghi e condividono idee anche su progetti che non le vedono direttamente coinvolte. Insomma, l’emblema della proattività che fa bene alla cultura aziendale e “contagia” altri dipendenti. Tra le azioni da intraprendere per mantenere l’engagement, sicuramente il riconoscimento del loro valore. Non solo con lavoro ibrido, smart working e benefit, ma anche dando a queste persone la possibilità di operare in un ambiente lavorativo aperto e collaborativo.
Stelle nascenti: creano valore e incentivano gli altri
Le star dell’azienda coprono circa il 4% della forza lavoro. Sono i veri e propri talenti, quelli che aumentano concretamente e simbolicamente il valore di un’organizzazione e coniugano benessere e prestazioni su livelli elevati. Sono inoltre più resilienti e riescono a creare un equilibrio tra lavoro e vita privata. Il fatto di aver trovato significato e scopo del proprio lavoro, tuttavia, rende le stelle nascenti maggiormente esposte ai rischi del burnout. Dato che prevenire è meglio che curare, si possono pensare nuove condizioni sostenibili. Per esempio, i manager possono limitare il numero di progetti assegnati a questi talenti o limitarne la richiesta di input.
Valutare, efficientare, personalizzare
In definitiva, gli astri nascenti hanno più probabilità di prosperare nei modelli ibridi e di lavoro a distanza rispetto al ritorno in ufficio. Basti pensare che solo il 19% di questo gruppo lavora in presenza. Il 45% predilige lo smart working e il 36% la modalità ibrida. Nel complesso, il modello di lavoro impatta sulla capacità delle persone di bilanciare soddisfazione, impegno, benessere e prestazioni. Ma la survey di McKinsey rileva anche che solamente il 15% dei manager si sente a proprio agio nel gestire team remoti e ibridi. La vera sfida, per i leader aziendali, diventa quella di imparare a misurare, senza pregiudizi verso lo smart working, la performance dei dipendenti.
La parola chiave è dunque “apertura”: non farsi trovare impreparati a fronte di evoluzioni tecnologiche e nuovi approcci al lavoro.