Quando il team è manager di se stesso

Giovanna D’Alessio e Stefano Petti sono i creatori di AEquacy, un modello di organizzazione aziendale opposto a quello gerarchico che si fonda sull’autogestione dei team e sulla valorizzazione del singolo nei processi decisionali. Ripercorriamo genesi e dettagli in questa intervista “doppia”

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Il modello modello organizzativo AEquacy ideato da Asterys

di Maria Cecilia Chiappani |

Immaginiamo un’azienda dove non esistono capi, ma gruppi di lavoro che si autogovernano felicemente, responsabilizzando in egual modo ogni membro, ponendosi obiettivi e misurandoli costantemente. La mia prima reazione è stata: fantascienza!

Mi sbagliavo, perché anche in un Paese socialmente e professionalmente gerarchico come l’Italia c’è chi prova a guardare oltre. Ad abbattere i silos verticali per creare flessibilità, performance e coinvolgimento delle persone. Si tratta di Giovanna D’Alessio e Stefano Petti, partner della società di consulenza Asterys e ideatori del sistema AEquacy. Insieme, hanno elaborato un programma completo di principi e di strumenti che possono concretamente rivoluzionare la vita delle aziende. E l’hanno anche testato con successo in una realtà del calibro di Nespresso Italiana.

“Abbiamo superato il design organizzativo piramidale a favore di un network radiale” spiegano. “Composto da team operativi vicini al business e da team di servizio auto-organizzati. Per implementare efficacemente AEquacy, serve anzitutto un cambiamento di mindset. Tutte le figure coinvolte sono chiamate a immaginare questa opportunità, abbattendo le credenze legate alle esperienze lavorative vissute e culturalmente tramandate. Le nuove generazioni già dimostrano di prediligere altri approcci”.

Un cambiamento epocale in un contesto particolarmente tradizionalista, anche nel fare business. Quali riflessioni vi hanno mosso a cercare la via della parità e della collaborazione?

Stefano Petti, partner di Asterys e co-ideatore del modello AEquacy
Stefano Petti, partner di Asterys e co-ideatore del modello AEquacy

Stefano Petti | Abbiamo entrambi maturato una lunga esperienza in ambito corporate. I programmi applicati per oltre 15 anni nelle grandi aziende ottenevano importanti successi, eppure sentivamo sorgere un interrogativo legato alla sostenibilità a lungo termine dell’impatto generato dai nostri progetti di formazione e sviluppo. Abbiamo infatti iniziato a notare che le aziende, pur soddisfatte dei risultati, esercitavano una sorta di “sistema immunitario”. Una forza che, a distanza di tempo, tendeva a ripristinare le condizioni pre-intervento. Dunque, ci siamo presi del tempo per analizzare il fenomeno e metterne a fuoco le cause. Capendo che il problema non era relativo alla cultura e al tipo di leadership, bensì all’organizzazione aziendale. Nel modello tradizionale, infatti, la gerarchia contribuisce a generare le forze contrarie da noi riscontrate: ecco la necessità di evolvere la struttura stessa dell’impresa.

Giovanna D’Alessio | Almeno un quarto dei rispondenti all’indagine, condotta nel 2016 su 600 persone tra dipendenti, manager ed executive, in Europa e Usa, immaginava un’azienda auto organizzata, con informazioni trasparenti e accessibili a tutti, in un contesto di team non gerarchici. Corroborati da questi dati, abbiamo iniziato a ridisegnare l’organizzazione creando un prototipo del modello AEquacy, che abbiamo inizialmente presentato, non senza timore, ai principali clienti. La proposta è stata invece accolta bene. Grazie ai suggerimenti e ai riscontri ottenuti abbiamo affinato il design del programma, sperimentando sistema operativo e procedure in primis sulla nostra organizzazione.

Quali sono i pilastri di questo metodo?

GDA | Abbiamo identificato cinque principi:

  • orientamento a valori e purpose aziendale;
  • auto organizzazione, ovvero rendere le persone autonome definendo un perimetro di libera decisione sul proprio lavoro;
  • “equalità”, neologismo coniato per sottolineare che tutti possono contribuire alla crescita del team;
  • trasparenza e facile accesso alle informazioni e, infine, adattività.

SP | Presi teoricamente, questi concetti si ritrovano già nelle strategie di molte aziende, in risposta al pressing del mercato su determinati aspetti valoriali. La sfida, da noi colta, è mettere in pratica il modello. Abbiamo trovato il modo di tradurre questi principi in una serie di strumenti concreti a disposizione dei team.

Come si riesce a presentare alle aziende, senza “spaventarle”, una rivoluzione di tale portata? I manager dovrebbero prima intraprendere un percorso di coaching?

SP | Adottiamo un approccio graduale, analizzando le pre-condizioni per capire se e come procedere. Alla base, ci devono essere sia la sponsorship dall’alto, sia la partecipazione di tutta la popolazione aziendale. Chiaramente, i manager devono intravedere dei vantaggi, ma il cambiamento passa proprio dall’eliminazione del concetto stesso di “manager” come persona fisica che prende decisioni in autonomia. Del resto, viene meno la funzione di controllo, un livello di monitoraggio che l’azienda ha l’opportunità di distribuire a livello di team. Chi occupava queste posizioni, dunque, riesce a liberare tempo ed energie per svolgere attività ad alto valore aggiunto e anche le persone si sentono più coinvolte.

In sostanza, ogni decisione che riguarda il team viene presa dal team stesso. Anche il sistema di valutazione delle performance è “corale” e non più guidato dai manager. Diventa più trasparente e meritocratico per tutti: in AEquacy non ci sono direttori ed executive. Un punto di partenza, sperimentato per esempio in Nespresso Italiana, è la creazione di un team pilota che permetta di misurare i risultati mese dopo mese e decidere di ampliare il design al resto dell’organizzazione.

L’idea di autogoverno è aperta a tutti. In virtù della vostra esperienza, ci sono dei destinatari ideali e, invece, situazioni più difficili da affrontare?

SP | Possiamo dire che l’idea è aperta a tutti ma non per tutti. Mi spiego meglio: è certamente implementabile in ogni settore di mercato, ma tutto dipende dal livello di predisposizione delle persone. La fase di analisi ci serve proprio per capire se chi ricopre un ruolo manageriale sia aperto alla possibilità di concepire diversamente il proprio lavoro e di trasmettere questo passaggio alle persone.

GDA | La ricerca del 2016 è stata poi ripetuta nel 2020. Abbiamo notato che, sebbene il trend di apertura a un modello non gerarchico risulti in crescita, molti preferiscono ancora avere un capo. Del resto, non tutti sono pronti a cambiare radicalmente un modo di vivere responsabilità e condivisione sul lavoro. In ogni caso, anche quando l’azienda non è pronta al grande passo, possiamo attivare dei percorsi di miglioramento del mindset propedeutici all’adozione del modello. Tra gli obiettivi centrali di AEquacy c’è liberare il potenziale di ogni risorsa.

Aderire al progetto AEquacy può migliorare l’attraction & retention dei talenti?

GDA | Più che un obiettivo è un dato: quando si mettono in pratica i principi del sistema, la valorizzazione delle risorse diventa una naturale conseguenza del cambiamento. È un aspetto molto interessante per le nuove generazioni e non solo. Flessibilità e smart working sicuramente attraggono, ma lo fa ancora di più la promessa di un’esperienza diversa.

SP | Quanto alla retention, alcune ricerche collocano tra le prime ragioni della fuga dei talenti il rapporto negativo con il manager, problema ridotto grazie a AEquacy. Ma siamo così ancorati al paradigma tradizionale che ogni giovane che si affaccia al mondo del lavoro immagina di avere un capo e di fare carriera “scalando”. Il passaggio, certo, non è indolore: liberare il potenziale richiede coraggio, lasciar andare gli alibi e assumere responsabilità. Sarebbe opportuno lavorare su questi aspetti anche prima dell’ingresso in azienda.

Giovanna D’Alessio, ideatrice del modello AEquacy
Giovanna D’Alessio, partner di Asterys e co-ideatrice del modello AEquacy

In questo contesto di gestione smart, che ruolo assume invece la formazione?

GDA | Questo aspetto ha a che fare con la strategia aziendale. Per esempio, tra i team di servizio si può istituire anche quello dedicato alla formazione. In ambito non tecnico, riteniamo importante lo sviluppo della maturità psicologica (autoconsapevolezza, gestione delle emozioni, padronanza di sé) necessaria per operare nel nuovo design organizzativo. Altro aspetto, la gestione del team: non essendoci più un manager, le persone devono conoscere cosa fare e come farlo. Questo perché le persone acquisiscano gli strumenti e traducano correttamente i principi di AEquacy nell’operatività.

Come avete iniziato a collaborare con Nespresso e quali sono le specificità del loro percorso di riorganizzazione “aequal”?

SP | Nespresso era già una società innovativa e orientata al cambiamento. La collaborazione con la società è nata in concomitanza con un’esigenza professionale della direttrice HR italiana Simona Liguoro. La quale si è trovata ad affrontare una fase di “sdoppiamento” della presenza tra Italia e Svizzera, con le conseguenti difficoltà nel gestire il proprio team nei mesi di permanenza all’estero. Abbiamo trovato terreno fertile per creare un team pilota per il nostro modello, presentato proprio in quel periodo. Doveva essere un progetto confinato a un singolo reparto, oggi tocca altri quattro team: un terzo della filiale italiana segue il sistema AEquacy. Con soddisfazione possiamo dire che funziona anche in modalità ibrida, ovvero quando alcune parti dell’azienda continuano a seguire l’organizzazione tradizionale.

AEquacy è anche un libro, pubblicato nel 2018. Come è strutturato e chi si rivolge? Avete in programma un aggiornamento?

GDA | Una volta terminato il design, abbiamo subito pensato di fissarlo su carta. Costruendo un libro che facesse comprendere agilmente le basi e il metodo di implementazione di AEquacy. Il primo capitolo riguarda la costruzione di un business case, per spiegare appunto le funzionalità di una struttura non gerarchica. Insomma, dati alla mano abbiamo voluto costruire un “perché”. E poi raccontare gli elementi del framework: contesto abilitante, purpose e valori, sistemi smart, semplificazione e padronanza di sé all’interno dei team. Spiegando anche che implementare un sistema diametralmente opposto agli attuali programmi di cambiamento aziendale significa partire dalla comunità, non dai vertici. In virtù delle esperienze maturate, stiamo realizzando una seconda edizione che uscirà nei primi mesi del 2024.

Il programma si inserisce nel contesto globale di Asterys. Come è nata la collaborazione e quali altri progetti vi vedono protagonisti?

GDA | Asterys opera dal 2001 con grandi aziende multinazionali, in Italia e all’estero, seguendo tre diversi filoni: sviluppo individuale e della leadership, sviluppo dei team e cambiamento della cultura organizzativa. L’auspicio, naturalmente, è che le attività legate a AEquacy divengano presto il nostro principale impegno!

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