Engagement nelle Pmi? La sfida per trattenere i giovani

Secondo l'avvocato giuslavorista Francesco Antonio La Badessa "bisogna far partecipare i neoassunti nella vita dell'azienda, anche alle fasi decisionali. Sposando un progetto, resteranno più facilmente"

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Welfare ed engagement nelle pmi

Welfare ed engagement nelle Pmi: le piccole e medie imprese “lottano” contro i grandi gruppi internazionali per difendere gli investimenti fatti sulla formazione dei giovani e salvare la competitività italiana.

I “patti di retention” non bastano più. Secondo l’avvocato giuslavorista Francesco Antonio La Badessa, partner dello Studio Ichino Brugnatelli e Associati, è fondamentale promuovere la partecipazione dei neoassunti nella vita dell’azienda, anche alle fasi decisionali. Poiché sposando un progetto, resteranno più facilmente.

Primo passo, cambiare mentalità

Una piccola impresa assume un giovane. Lo forma, lo inserisce all’interno del proprio organico, investe su di lui tempo e risorse per disporre di una figura capace di gestire la complessità e rendere l’azienda competitiva sul mercato. Ma all’improvviso arriva una multinazionale, che con un’offerta economica molto vantaggiosa per il lavoratore, impossibile da pareggiare per la pmi, riesce ad accaparrarsi le prestazioni del ragazzo. Soprattutto le competenze acquisite nel corso della formazione all’interno della pmi, che si ritrova di colpo impoverita e incapace di competere con i grandi player.

Questa è una storia che si ripete tutti i giorni nelle pmi, la quasi totalità del tessuto produttivo italiano. Se è vero che esistono strumenti per cercare di fermare – o perlomeno rallentare – il travaso dalle realtà piccole a quelle più grandi, questi non bastano più. C’è bisogno di un cambio di mentalità nel management delle piccole imprese. Mettendo sempre più al centro dell’attenzione non solo l’aspetto economico, ma soprattutto il coinvolgimento dei neoassunti all’interno dell’organizzazione aziendale.

Cosa chiede la generazione Yolo

Il post Covid ha fatto emergere in modo determinante le peculiarità della generazione “You only live once”. Consapevole del fatto che “si vive una volta sola” presenta una rigidità di richieste al suo ingresso nel mercato del lavoro: flessibilità, smart working e smaterializzazione dei rapporti. Dall’altro lato, però, questa generazione è la più richiesta dalle aziende. Per ragioni anagrafiche, ma anche perché depositaria di conoscenze (in particolare in campo informatico e digitale) che non sono nel bagaglio degli over 40.

Qui cominciano i problemi: “Le pmi puntano moltissimo sulle prestazioni dei ragazzi e li inseriscono nel proprio organico con contratti che prevedono anche la formazione”, spiega l’avvocato. “Ma le aziende italiane faticano a reggere l’aggressività finanziaria degli investitori esteri, pur avendo a disposizione strumenti astrattamente idonei a tutelare l’investimento fatto con la formazione dei propri dipendenti”.

La fine dei patti di retention

Tra questi, il patto di non concorrenza, che subentra quando un rapporto di lavoro cessa e impedisce, almeno per un periodo, che il lavoratore possa essere assunto da un’azienda che lavora nello stesso campo di quella da cui si è dimesso. Ma soprattutto i “patti di retention”: a fronte dell’investimento sostenuto per la formazione dei neoassunti, questi sono obbligati a rimanere all’interno dell’azienda per un dato periodo di tempo.

Tra questi, ci sono il patto di durata minima garantita, una clausola contrattuale con la quale viene garantita una durata minima del rapporto, durante il quale il lavoratore può dimettersi volontariamente solo dietro il pagamento di costose penali, o il patto di prolungamento del periodo di preavviso.

“Con attori potenti come le multinazionali o i fondi, questi strumenti non sono più così validi. I competitor internazionali hanno capacità di spesa che permettono di superare agevolmente questo scoglio: in altre parole, sotto forma di welcome bonus, offrono ai lavoratori vincolati dai patti la provvista utile a superare immediatamente l’ostacolo delle penali”, spiega La Badessa. In questo modo, le aziende si trovano in una guerra ad armi impari. Che si affronta solo ripensando l’engagement nelle pmi.

Engagement nelle pmi: coinvolgere per restare

Come possono quindi le pmi (e non solo) difendere il capitale umano di fronte ai grandi colossi dell’economia e della finanza mondiale? La parola chiave è coinvolgimento. “Abbiamo realizzato che ai neoassunti deve essere garantito un coinvolgimento professionale, modificando la filosofia imprenditoriale delle pmi italiane”, sottolinea La Badessa.

“I ragazzi hanno bisogno di sentirsi maggiormente coinvolti nelle imprese familiari, nella progettualità imprenditoriale, con percorsi di crescita programmata. Sistemi di welfare aziendale mirati alle esigenze individuali, sistemi di retribuzione variabile che possono essere anche forme di partecipazione diretta in ambito societario e un cambiamento dell’approccio alle fasi decisionali. Servono confronto, inclusione e spiegazione delle scelte per il progetto di impresa”. Questo cambio di filosofia deve avvenire in un periodo storico in cui molte pmi sono alle prese con il cambio generazionale.

Tutelare il valore italiano

“Questo è un processo sfidante: gli strumenti legali e contrattuali del giuslavorismo classico non sono più sufficienti per garantire un futuro all’imprenditoria italiana” rimarca l’avvocato. “È successo anche nel campo della moda e del design: alcuni marchi italiani, acquisiti da colossi esteri, hanno visto l’estromissione delle figure creative che ricoprivano incarichi apicali, disperdendo tutto il valore generato in decenni di storia”. Il cambio di rotta è necessario anche per non disperdere giovani cervelli italiani nel mondo, ma non è così semplice.

“I vertici delle aziende, anche da un punto di vista culturale, fanno molta fatica a interloquire con le generazioni più giovani” sintetizza La Badessa. “Non è un sinonimo di scarsa fiducia, ma c’è sempre il timore che l’esigenza individuale – smart working, flessibilità o maggiori guadagni – li porti a lasciare la barca nel momento di un’offerta più allettante. Ma sono convinto che, se agli strumenti offerti dal panorama legale si iniziasse a introdurre un cambio di mentalità a livello imprenditoriale, molti giovani si sentirebbero più coinvolti dall’azienda. E aderirebbero con entusiasmo a un progetto a medio-lungo termine che possa farli sentire protagonisti e non meri elementi di un ingranaggio”.

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