di Luigi Beccaria |
Come ampiamente noto, tra gli effetti collaterali conseguenti all’imprevedibile diffusione della pandemia, vi è stato un deciso incremento del ricorso alla forma del cosiddetto lavoro agile, o, nell’inglesorum ormai diffuso, smart working.
Detta soluzione, inizialmente applicata in via emergenziale e con forme più simili a quelle, maggiormente rigide, riconducibili alla fattispecie giuridica del telelavoro (dunque con un mero trasferimento del luogo di adempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto di lavoro), ha preso sempre più piede. E ha continuato a essere applicata anche una volta che l’onda pandemica si è arrestata.
Diritti e doveri delle parti
La recente conclusione della stagione estiva induce nuovamente ad affrontare la tematica, non scevra di profili problematici in ragione delle nuove dinamiche del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Sollevando importanti questioni riguardo alla gestione dei diritti e dei doveri tradizionalmente imposti alle parti del contratto di lavoro, tra cui quello relativo al fondamentale diritto alle ferie pagate, distintivo del lavoro subordinato.
Occorre innanzitutto sottolineare come, in fatto, e dunque atecnicamente, la possibilità di lavoro agile si configura come un vero e proprio benefit per i lavoratori che svolgono mansioni con esso compatibili (o quantomeno, per la maggior parte di essi). Chiunque abbia contatti con imprese è perfettamente a conoscenza che molti candidati, e specialmente quelli anagraficamente inquadrabili nella cosiddetta “Gen Z”, addirittura pongono come condizione per l’assunzione la possibilità di eseguire in forma agile, in tutto o in parte, la propria prestazione lavorativa. Realizzando così un ribaltamento fino a qualche tempo fa impensabile nell’equilibrio negoziale tra le parti. Tenendo conto che il lavoro agile richiede la stipulazione di un accordo individuale inter partes ulteriore rispetto al “normale” contratto di lavoro.
Purtuttavia, la compresenza di vantaggi reciproci (sinallagmatici, si direbbe in termini tecnici), consistenti da un lato nella maggiore libertà e autonomia del lavoratore e nell’annullamento o abbattimento dei tempi di spostamento casa-lavoro, e nella possibilità di acquisire migliori talenti e di ridurre i costi operativi dall’altro, non può farci astenere da uno sguardo complessivo sulla efficacia della fattispecie. Soprattutto considerando che la legge che regolamenta il lavoro agile, la n. 81 del 2017, risale a prima della pandemia, e dunque dell’attuazione generalizzata ed emergenziale dello strumento. Ma anche prima dell’epoca attuale, fortunatamente sprovvista della componente emergenziale, ma comunque caratterizzata da una diffusione e un rilievo allora impensabili per il legislatore.
Attenzione a ferie e smart working
Certamente, da un punto di vista squisitamente giuridico, la maturazione delle ferie in regime di smart working segue i medesimi canoni applicati al lavoro “tradizionale”. Chiaramente a ciò è sottesa una sfida pratica, una sorta di prova di fiducia, in quanto la flessibilità oraria del regime di lavoro agile potrebbe rendere più complesso il monitoraggio delle ore effettivamente lavorate, e, conseguentemente, del calcolo delle ferie maturate.
Appare dato acquisito, sia pur non del tutto formalmente recepito dall’ordinamento giuridico positivo, che il lavoro subordinato abbia subìto una decisa attenuazione nei propri cosiddetti “indici qualificatori”. Tra cui spicca, ai fini del nostro discorso, la rigidità dell’orario di lavoro, di talché, come già osservato da numerosi commentatori, il lavoratore subordinato smart worker sta lentamente avviandosi a rendere un’obbligazione di risultato (ossia produrre gli output richiesti dal datore di lavoro), invece che, come si è storicamente sempre inteso, un’obbligazione di mezzi.
La subordinazione del lavoro agile
Superato, se non altro sotto i profili tipici della consuetudine (c.d. diuturnitas e opinio juris sive necessitatis, ossia la ricorrenza quotidiana e lo stato soggettivo di convinzione delle parti circa la correttezza della regola applicata), l’apparente corto circuito giuridico tra subordinazione (con le sue regole e le sue rigidità, ma anche, come noto, con i suoi diritti) e autonomia nella forma contrattuale dello smart working, permangono comunque dei profili critici. I quali, derivanti dalla natura formalmente subordinata del lavoro agile, devono essere tenuti in grande considerazione dalle parti.
In primis, il lavoratore agile resta pur sempre un dipendente. Bisogna considerare la possibilità di programmare le ferie collettive coordinandosi tra lavoratori agili e non, evitando scoperture e avendo riguardo alle esigenze aziendali. Secondo, ma non meno importante, è garantire il diritto al riposo annuale, costituzionalmente sancito (art. 36 Cost.) e la cui disapplicazione è suscettibile di tradursi in una violazione dell’art. 2087 del codice civile. In funzione del quale il datore di lavoro è tenuto a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Infatti, se si è evidenziata in precedenza la maggiore autonomia che connota il lavoro reso dallo smart worker, ciò non significa che egli sia in alcun modo considerabile in senso tecnico un lavoratore autonomo. Il lavoro agile, infatti, contiene intrinsecamente una demarcazione meno netta tra tempo lavorativo e tempo libero. Perciò è necessario assicurare che i dipendenti usufruiscano effettivamente (e integralmente) del periodo di riposo minimo previsto in due settimane consecutive.
Garantendo loro il cosiddetto “diritto alla disconnessione”, fondamentale per garantire che il lavoratore possa godere pienamente del predetto periodo di riposo senza essere costantemente reperibile, come invece la condizione di lavoratore agile sembrerebbe suggerire (quantomeno ai crumiri agostani).
Ferie e smart working: servono regole chiare
I settori HR delle imprese e i professionisti di riferimento dovranno pertanto stabilire, possibilmente in sede di accordo individuale ex L. 81/17, delle regole chiare, condivise e conformi a legge riguardo ai momenti in cui il lavoratore non è tenuto a rispondere a comunicazioni lavorative. Specie durante le ferie, per prevenire situazioni di burnout e assicurare un reale distacco dalle attività professionali. Ogni contributo delle parti sociali sarà naturalmente utile.
In definitiva, il rapporto tra ferie e smart working costituisce un tema di crescente interesse e complessità nel diritto del lavoro contemporaneo. Garantire un equilibrio tra flessibilità lavorativa e tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori richiede un approccio attento e integrato, che coinvolga verticalmente il legislatore, i datori di lavoro, le rappresentanze sindacali e i lavoratori stessi.
* Luigi Beccaria è avvocato e partner di Studio Elit. Collabora con l’Università degli Studi di Milano e con l’Università Cattolica del Sacro Cuore.