Una community di aziende virtuose

Le aziende che mettono davvero le persone al centro hanno bisogno di confrontarsi l’una con l’altra per non perdere la speranza di avere un approccio corretto. Double Bridge è la community nata per offrire loro un luogo dove dialogare e migliorarsi

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Community HR double bridge

di Virna Bottarelli | Mettere le persone al centro è un’espressione sicuramente inflazionata nel mondo HR, un concetto che rischia di rimanere uno slogan privo di significati concreti, ma c’è chi lo ha voluto riempire di senso, cercando di offrire alle aziende strumenti concreti per tradurlo in realtà: è Double Bridge.

Una community di piccole-medie imprese che con i propri associati realizza attività volte a facilitare l’implementazione di una vera e propria strategia di centralità della persona nell’impresa. A spiegarci come è nata l’idea è il suo founder e presidente Stefano Davanzo, già fondatore della società di consulenza Tacoma. “Dopo il lockdown e con l’ingresso nel mondo del lavoro della generazione Z, i nostri clienti hanno iniziato a chiederci un aiuto per rendere le proprie aziende più attrattive sul mercato del lavoro. È per dare risposta a questa richiesta sempre più pressante che abbiamo creato Double Bridge, seguendo una logica molto semplice e che ci contraddistingue da sempre: bisogna mettere al centro la persona. E questo concetto vale per il ‘cliente’ quando ti orienti nel mercato e vale per ‘il collaboratore’, quando approcci il mercato del lavoro”, spiega.

Da dove nasce l’idea di creare una community?

Solo le aziende che mettono le persone al centro possono pensare di crescere in modo organico e inesorabile, ma spesso si trovano ancora aziende che preferiscono approcci meno etici, che prendono, per così dire, delle scorciatoie, attuando strategie poco rispettose dei propri clienti e dei propri collaboratori, per massimizzare gli utili nel breve termine. Quindi, le aziende che mettono le persone al centro hanno bisogno di non sentirsi sole, di potersi confrontare l’una con l’altra per non perdere la speranza che il loro sia l’approccio corretto. Ecco perché abbiamo creato Double Bridge come una community.

Oggi quali sono le principali attività di Double Bridge? Chi sono i suoi membri e perché scelgono di farne parte?

Double Bridge organizza momenti di confronto su come attrarre, trattenere e motivare le persone. Ne fanno parte oltre 70 Pmi, ma il numero dei membri è in constante crescita. Chi sceglie di farne parte, aderisce per sentirsi meno solo nel fare impresa in modo etico e civile, per confrontarsi in modo onesto, trasparente e costruttivo con altri imprenditori e manager che ogni giorno agiscono concretamente la strategia di mettere le persone al centro. Le nostre attività sono raggruppate in tre aree di intervento: vita associativa, iniziative e benefit pensati per le imprese ed i loro collaboratori, erogati grazie al supporto stesso dell’aziende associate.

Si parla molto di “mettere le persone al centro”, ma spesso la realtà delle nostre imprese non è così “orientata alle persone”. Da dove si può cominciare per migliorare?

Non sono del tutto d’accordo. Credo che semplicemente a livello mediatico ci sia una sovra- rappresentazione delle aziende non etiche. Esistono solo due modi di fare impresa: un modo civile, che punta a raggiungere il profitto facendo il bene comune, e uno incivile, che punta a raggiungere il profitto a discapito del bene comune e quindi sulle spalle dei collaboratori, dei clienti e dell’ambiente circostante.

Negli ultimi 20 anni, il mio lavoro mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con centinaia di Pmi italiane. Sebbene le imprese “incivili” esistano davvero, la mia esperienza mi dice che sono molte di più le imprese basate su principi etici solidissimi, che si occupano delle proprie persone in modo autentico e disinteressato. E la cosa straordinaria è che questa strategia, lungi dall’essere buonista, è una strategia che porta grandi risultati economici per le aziende che la applicano. I buoni principi, però, non basteranno in futuro: le aziende etiche devono oggi affrontare un mercato del lavoro molto complesso.

È necessario comprendere che le persone oggi cercano nel lavoro uno strumento per dare un senso alla propria esistenza, agire ascolto e trattare ogni individuo nel massimo rispetto della sua unicità. Per stimolare le aziende virtuose a fare sempre meglio abbiamo creato un contest, gli Employer Branding Awards, che ogni anno premia le migliori iniziative in Italia sui temi di people management.

Questi premi sono stati ideati nell’ottica di dare maggiore rilievo alle buone politiche di people management delle Pmi. Come sta procedendo l’edizione 2024?

L’edizione 2024 si presenta come un successo che va oltre ogni più rosea aspettativa. Abbiamo ricevuto 167 candidature, da 132 aziende. Siamo ora nella fase in cui selezioniamo quali aziende andranno in finale. L’evento conclusivo, con la premiazione dei vincitori, si terrà il 31 gennaio in H-Farm a Roncade (TV). È prevista la partecipazione di oltre 300 persone per quello che sarà il più grande evento italiano dedicato ai temi di people management.

Il premio si concentra su tre tematiche: attrarre e trattenere giovani talenti, garantire work-life balance e promuovere parità di genere. Quali problematiche emergono, nella community, rispetto a questi tre temi?

Di fatto c’è un problema che sta alla base di tutte le difficoltà riscontrate in queste tre aree. Se le aziende non cambiano radicalmente il modo in cui definiscono il concetto di lavoro non riescono a essere attrattive per i giovani, a ingenerare soddisfazione e benessere nei propri collaboratori e a creare le condizioni necessarie per favorire il lavoro femminile.

Molte aziende hanno piena consapevolezza dell’esigenza di ridefinire il lavoro, ma nessuno di noi in questa fase storica ha delle linee guida da seguire per implementare concretamente questo cambiamento. Quindi, la difficoltà più spesso riscontrata dalle aziende è il disorientamento rispetto a come agire operativamente. L’unico grande consiglio che mi sento di dare in questo senso è: diffidate dalle soluzioni semplicistiche. Chiunque vi dica che, ad esempio, si può rendere un’azienda attrattiva per i giovani con una strategia basata su cinque semplici passi, vi sta semplicemente mentendo.

Per dirla con una frase di George Bernard Shaw, “Per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice. Che in genere è quella sbagliata”. Questa fase di incertezza e disorientamento passerà con il tempo, ma finché ci stiamo dentro, non possiamo far altro che andare a tentativi, osservare i risultati delle nostre azioni e condividerli affinché l’apprendimento collettivo velocizzi il percorso di “uscita dalla nebbia”.

Crede si possa fare una formazione ad hoc su queste tematiche anche nelle Pmi?

Le do una risposta un po’ tecnica: non credo che le Pmi abbiano bisogno di formazione, nel senso che non c’è necessità di “dare forma” o “cambiare l’attuale forma”. Credo ci sia bisogno di insegnamento: nel senso che è necessario che le Pmi che affrontano il cambiamento ogni tanto trovino dei segni, delle tracce sul sentiero, che consentano loro di orientarsi in un cammino spesso disorientante. Ecco, quello che facciamo con Double Bridge è proprio questo. Lasciamo di piccoli segni grazie a momenti di confronto aperto tra aziende virtuose, che noi sintetizziamo in lezioni apprese e piani d’azione per il cambiamento.

Che people management possiamo immaginare in futuro, quando al “comando” delle imprese ci sarà la gen Z?

È per me molto affascinante pensare a questa prospettiva. Per tante questioni di natura sociale, economica e tecnologica, la generazione Z avrà la possibilità di riscrivere completamente le regole del gioco. Passando dal paradigma del “lavoro come dovere” al concetto del “lavoro come strumento di autorealizzazione”, dall’abitudine a una “vita piena di lavoro” alla definizione di un “lavoro pieno di vita”.

Ci sono tutti i presupposti per realizzare oggi una grande rivoluzione, capitanata, appunto dai ragazzi della generazione Z. Ma abbiamo, in un Paese come l’Italia, un enorme ostacolo rappresentato dalla piramide sociodemografica: i giovani sono pochi e fanno per altro parte di una generazione tendenzialmente individualista e pessimista.

Se le generazioni precedenti si opporranno alle visioni che la generazione Z sta portando oggi nel mercato del lavoro, avranno la forza di ridimensionarle a “meri capricci di giovani viziati” e questo ci porterà a perdere un treno che, ahimè, non passerà più. Capriccioso non è chi rivendica il bisogno di trovare un senso a ciò che fa per otto, nove ore al giorno. Lo è invece chi si arroga il diritto di bloccare il cambiamento, perché “si è sempre fatto così”.

Stefano Davanzo, founder community double bridgeChi è Stefano Davanzo

Nato a Torino, dopo un lungo percorso di studi in diversi Paesi europei – Norvegia, Belgio, Italia e Spagna – Stefano Davanzo inizia a lavorare per una multinazionale americana. Nel 2007 fonda nella sua città natale la sua prima start-up e si appassiona al mondo delle Pmi. Nel 2018 fa tesoro di tutte le esperienze precedenti creando Tacoma, società che si pone l’obiettivo di aiutare le Pmi italiane a crescere mettendo il cliente al centro di ogni strategia. Puntando tutto su una semplice idea: “Se metti il tuo cliente al centro, i tuoi prodotti/servizi gli risolveranno problemi, creeranno opportunità e la tua azienda crescerà in modo organico e inesorabile”.

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