Ci dice qualcosa in più sul tema del welfare aziendale in Italia il Rapporto Welfare Index Pmi, pubblicazione di Generali Italia, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni e Confcommercio.
Il Welfare Index Pmi è espresso con un numero che rappresenta la valutazione dell’azienda rispetto al valore massimo di 100. Viene calcolato su dieci aree tematiche: Previdenza e protezione, Salute e assistenza, Conciliazione vita-lavoro, Sostegno economico ai lavoratori, Sviluppo del capitale umano, Sostegno per educazione e cultura, Diritti, diversità, inclusione, Condizioni lavorative e sicurezza, Responsabilità sociale verso consumatori e fornitori, Welfare di comunità. Sulla base di tre parametri: iniziativa, capacità gestionale e impatto sociale.
Welfare Index: le Pmi italiane vanno bene
All’edizione 2024 del rapporto hanno partecipato circa 7mila imprese. Il dato più significativo è che il 75% di esse ha superato il livello medio di welfare aziendale. Sono poi triplicate le Pmi con livello molto alto e alto e si sono dimezzate quelle al livello iniziale. Ossia quelle che applicano solo l’adozione delle misure previste dai Ccnl.
Giancarlo Fancel, Country Manager & Ceo di Generali Italia, ha detto che “una parte sempre più rilevante delle Pmi ha un elevato livello di welfare aziendale, che utilizza in chiave strategica e che estende alle famiglie dei dipendenti, fino all’intera comunità in cui opera. Il tessuto imprenditoriale italiano composto dalle piccole e medie aziende assume, dunque, un ruolo sociale importante, diventando punto di riferimento sul territorio”.
L’area che vede maggiori iniziative aziendali in tema di welfare è quella inerente alla conciliazione vita-lavoro. Seguono salute e assistenza, previdenza e protezione, tutela dei diritti, delle diversità e inclusione sociale. Meno diffusa è invece l’iniziativa delle imprese a sostegno delle famiglie per la cultura e l’educazione dei figli. Dal Welfare Index Pmi emerge inoltre che per il 18% delle imprese si può parlare di un welfare evoluto. Dunque, con alti livelli di iniziativa e capacità gestionale. In questi casi le imprese considerano come centrali la soddisfazione dei lavoratori e la propria reputazione. Per loro il welfare è una leva strategica per la sostenibilità dell’impresa stessa.
A queste realtà si riconoscono anche impegno sociale coerente, cultura aziendale orientata alla cura del benessere e alla valorizzazione delle persone e coinvolgimento dei collaboratori nelle iniziative. E se i valori, da soli, non bastassero, il welfare ha anche un risvolto economico importante, che va oltre gli incentivi di cui abbiamo già detto. La quota di imprese con aumento di fatturato nel 2023 cresce quasi linearmente con il livello di welfare aziendale. Dal 28,8% di quelle con livello iniziale al 46,5% di quelle con livello molto alto. I numeri sono positivi anche rispetto agli indici di produttività: 470 mila euro in termini di fatturato per addetto nel caso di aziende con welfare a livello elevato. Contro i 193 mila euro delle imprese con un livello iniziale di welfare.
Attenzione alle disuguaglianze
“Il salto di qualità delle nostre Pmi dipende dalla volontà e dalla capacità di investire sui servizi e sugli strumenti del welfare aziendale”, ha detto nei mesi scorsi il Ministro del Lavoro Marina Calderone commentando il Rapporto Welfare Index. “Cresce la consapevolezza, da parte di un numero sempre maggiore di imprese, di dover agire in diverse aree di intervento. Dalla conciliazione al welfare di comunità, dalla previdenza al rafforzamento delle competenze”. Evidenziando come sia necessario diffondere l’etica nell’economia. “E far capire come la logica dell’ecosistema sia oggi l’unica in grado di rendere sostenibile l’agire economico delle imprese rispetto alle necessità dei lavoratori, delle comunità e dei territori”, aggiunge.
Ci sono però altri punti su cui riflettere, come fa notare Francesca Re David, Segretaria Confederale Cgil. La quale ha curato, insieme ad altri esponenti del sindacato, il “Quarto Rapporto sulla Contrattazione di Secondo Livello”, basato su accordi siglati tra il 2021 e il 2023. “Il welfare aziendale si concentra prevalentemente nelle aziende che storicamente fanno contrattazione”, dice Re David. Indicando come la platea dei lavoratori beneficiari di politiche di welfare aziendale si sia nel tempo ristretta.
“Per la contrattazione di secondo livello, le crisi industriali hanno spinto ovviamente verso una contrattazione di tipo difensivo. La frammentazione delle imprese ha avuto effetti sulla platea delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti negli integrativi. Inoltre, la dimensione delle aziende e la collocazione geografica sono fortemente condizionanti, come la presenza o meno di rappresentanze sindacali elette. In aggiunta, il triennio esaminato risente ovviamente degli effetti del Covid, che aveva in gran parte bloccato ad esempio i premi di risultato”. Di conseguenza, “i governi hanno dato le incentivazioni fiscali prevalentemente alle aziende dove la contrattazione era già attiva. Aumentando, così, paradossalmente, le differenze”.