In un’epoca di digitalizzazione estrema, gig economy e commercio virtuale, meglio conosciuto come e-commerce, è sempre più salita agli onori delle cronache la figura del rider, termine mutuato dal mondo anglosassone, che nel vecchio continente corrisponde più semplicemente al fattorino, che consegna a domicilio prodotti acquistati su piattaforme on-line, prevalentemente munito di bicicletta.
Rispetto a tale particolare figura, evoluzione moderna del vecchio pony express degli anni ’80, si sono poste numerose questioni, anche a livello politico, derivanti dal corretto inquadramento contrattuale di tale tipologia lavorativa, anche in ragione dei profili di tutela sociale e di sicurezza sul lavoro che il nostro Ordinamento riconosce.
Sulla vicenda si è sviluppata una lunga corsa a tappe, l’ultima delle quali si è avuta con la recente pronuncia della Corte d’Appello del 4 febbraio 2019 n. 26. La Corte torinese ha emesso una sentenza destinata a lasciare il segno, non solo nella vicenda “rider”, ma anche in relazione alle finte collaborazioni, rispetto alle quali il Jobs Act aveva provato a delineare regole più rigide, proiettate a una maggior tutela del lavoratore, indipendentemente dalla forma giuridica nella quale si inquadra la prestazione lavorativa.
Le diverse pronunce
Il punto di partenza è la prima pronuncia giurisprudenziale sul tema rider, proprio del Tribunale di Torino che, con sentenza del 7 maggio 2018, ha escluso per la prima volta, a fronte di un ricorso presentato da alcuni lavoratori, la natura subordinata di questa controversa tipologia lavorativa, collocandola nell’alveo del lavoro autonomo.
Del medesimo avviso, qualche mese dopo, il Tribunale di Milano con sentenza del 10 settembre 2018 n. 1853. Secondo il giudice meneghino, infatti, il lavoratore era libero di decidere se e quando lavorare in ragione delle concrete modalità di resa della prestazione, che prevedeva la possibilità di prenotarsi sulla base di slot di disponibilità, ossia fasce orarie e consegne, comunicate con anticipo dall’azienda, mediante piattaforma informatica. In tal senso, pertanto, il rider non aveva vincoli di sorta nella determinazione dell’an, del quando e del quantum della prestazione.
Tale elemento rappresenta – secondo il Tribunale – un fattore essenziale dell’autonomia organizzativa, che si traduce nella libertà di stabilire la quantità e la collocazione temporale della prestazione lavorativa, i giorni di lavoro e quelli di riposo e il loro numero. Si tratta, quindi, di un elemento incompatibile con il vincolo della subordinazione.
L’accordo quadro della logistica
In mezzo alle due pronunce si è posto, poi, l’accordo quadro del 18 luglio 2018, integrativo del Contratto Collettivo Nazionale Logistica – Trasporto Merci, che ha cercato di riconoscere ai riders tutele previdenziali e assistenziali, tipiche del lavoro subordinato. Più precisamente, l’accordo ha stabilito che i lavoratori adibiti all’attività logistica (comprensiva delle operazioni accessorie di trasporto) tramite l’utilizzo di cicli, ciclomotori e motocicli, siano inquadrati nell’area professionale C, corrispondente alla categoria del personale viaggiante, prevista dal Ccnl stesso. Ma non solo.
L’accordo, in ragione dell’inquadramento professionale del rider nell’ambito del contratto, ha previsto precisi parametri retributivi e, soprattutto, una disciplina ad hoc in materia di orario di lavoro.
L’orario massimo settimanale previsto è pari a 39 ore, distribuibile sino a un massimo di 6 giorni nell’arco della settimana e conguagliabile nell’arco di quattro settimane.
In ogni caso la durata medio massima dell’orario di lavoro settimanale, comprensiva delle ore di lavoro straordinario, non può essere superiore alle 48 ore. Inoltre, la prestazione oraria giornaliera non può essere inferiore alle 2 ore e superiore alle 8 ore, estendibili a un massimo di 10 ore nel caso di attività di magazzino.
La pronuncia della Corte d’Appello di Torino
In tale quadro, decisamente poco chiaro e oscillante tra autonomia e subordinazione, si inserisce in modo quanto mai decisivo la pronuncia della Corte d’Appello di Torino. Innanzitutto la Corte, in linea con quanto già accertato dal Tribunale, conferma come nel caso di specie difetti il requisito dell’obbligatorietà della prestazione, indice ritenuto tipico del lavoro subordinato.
La società, infatti, poteva disporre della prestazione lavorativa dei riders solo se questi decidevano di candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie stabilite, senza poter imporre di lavorare nei turni in questione o di non revocare la disponibilità data, a dimostrazione della insussistenza del vincolo di subordinazione.
Ciò chiarito, tuttavia, la Corte, pur escludendo la subordinazione ai sensi del classico articolo 2094 c.c., ritiene perfettamente applicabile l’articolo 2 del D.Lgs. 81/2015, secondo il quale “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Ad avviso della Corte, la norma in questione individua un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 c.c. e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n. 3 c.p.c, evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando.
Il concetto di etero-organizzazione
Al centro di tutto si pone un concetto di etero-organizzazione in capo al committente, che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro.
Si delinea così, per la prima volta in modo concreto e dettagliato, il concetto di etero-organizzazione, ravvisabile in presenza di un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l’essere strutturalmente legata a questa (l’organizzazione) e si pone come un qualcosa che va oltre la semplice coordinazione di cui all’articolo 409 n. 3 c.p.c, poiché qui è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore.
Muovendo da tali presupposti interpretativi la Corte sottolinea come i rider abbiano lavorato sulla base di una turistica stabilita, in determinate zone di partenza, ricevendo tramite app gli indirizzi cui di volta in volta effettuare la consegna (con relativa conferma), i cui tempi erano predeterminati (30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo). Tutte circostanze che dimostrano come le modalità di esecuzione, oltre ad essere, ovviamente, personali e continuative, erano organizzate dalla committente quanto ai tempi e ai luoghi di lavoro.
Un rapporto autonomo, ma tutelato
Ulteriore aspetto innovativo, introdotto dalla Corte torinese, attiene agli effetti derivanti dall’applicazione dell’articolo 2. La sentenza, infatti, non mette in discussione la natura del rapporto che, paradossalmente resta autonomo, facendo salvo l’assetto negoziale stabilito dalle parti in sede di stipulazione del contratto.
Pur tuttavia, ciò che più conta sotto un profilo sostanziale, estende le tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato, ossia quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza.
La sentenza conferma, così, quanto già sostenuto dal Ministero del Lavoro con circolare 3/2016, secondo la quale ogniqualvolta il collaboratore operi all’interno di un’organizzazione datoriale, rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente, si considerano avverate le condizioni di cui all’articolo 2, sempre che le prestazioni, come nel caso dei riders, risultino continuative ed esclusivamente personali.
Ciò che diverge nell’impostazione ministeriale rispetto alla sentenza della Corte d’Appello di Torino è l’avviso, previsto in circolare, di far discendere dall’applicazione dell’articolo 2, oltre alle tutele, anche la riqualificazione del rapporto in termini di subordinazione. Circostanza, come visto, esclusa dalla Corte la quale, pur accordando una serie di tutele tipiche del rapporto di lavoro subordinato, non ritiene applicabile, in ragione della mantenuta natura autonoma del rapporto, l’ulteriore disciplina in materia di licenziamenti.
* Mario Pagano è componente del Centro Studi Attività Ispettiva dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni espresse nell’articolo sono frutto esclusivo dell’opinione dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza.