di Laura Reggiani |
Realizzato da Adapt e Ubi Banca, “Welfare for People” è un rapporto, giunto alla seconda edizione, sul welfare occupazionale e aziendale in Italia.
L’analisi è frutto del lavoro avviato lo scorso anno per inquadrare la diffusione del fenomeno alla luce della trasformazione economica, tecnologica, demografica, nonché nell’ottica delle relazioni industriali. I risultati della ricerca sono stati presentati a fine marzo presso la Fondazione Feltrinelli da Letizia Moratti, Presidente del Consiglio di Gestione di Ubi Banca, e da Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt.
Lo studio, che si è concentrato in particolare sui fondi sanitari integrativi e sulla contrattazione collettiva nel settore della meccanica, conferma l’importanza di leggere il welfare occupazionale e aziendale in una nuova ottica, ovvero in termini di nuove relazioni industriali, nuovi modelli produttivi e di impresa, e non solo come parziale risposta all’arretramento del welfare pubblico o come buona prassi di responsabilità sociale delle imprese.
“In controtendenza rispetto a quanti individuano nel welfare aziendale una debole risposta alla crisi del welfare pubblico” ha dichiarato Michele Tiraboschi, “l’analisi dimostra, alla luce di una ricca raccolta di contratti collettivi e fonti aziendali, la forte carica innovativa del fenomeno. Il rapporto segnala le enormi potenzialità di uno strumento che, se guidato consapevolmente dagli attori del sistema di relazioni industriali, rappresenta un percorso fondamentale per accompagnare le trasformazioni nel mondo del lavoro. In particolare il focus sul welfare sanitario ha mostrato come i cambiamenti demografici come l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche, il calo delle nascite possano essere affrontati anche con strumenti di welfare offerti dalle imprese”.
« Il focus sul welfare sanitario mostra come i cambiamenti demografici
come l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche
e il calo delle nascite, possano essere affrontati
anche con strumenti di welfare offerti dalle imprese. »
L’assistenza sanitaria integrativa
L’approfondimento tematico dedicato alla assistenza sanitaria integrativa ha messo in evidenza come questa rappresenti un fenomeno sempre più diffuso. “Il gap tra offerta e domanda di servizi di welfare è un dato ormai acquisito in tutte le economie sviluppate, nella sola Italia si prevede che raggiunga i 70 miliardi di euro entro il 2025. E ad essere insufficienti rispetto al fabbisogno sono, in particolare, i servizi chiave come l’assistenza sanitaria offerta dal settore pubblico”, ha affermato Letizia Moratti. “La ricerca conferma l’importanza che i servizi assistenziali avranno per l’ulteriore sviluppo dei sistemi di welfare e la conseguente sostenibilità sociale delle economie avanzate”.
Alla luce dei rilevanti cambiamenti demografici, il welfare sanitario occupazionale risulta infatti centrale sia per le persone sia per i modelli organizzativi aziendali, nell’ottica della promozione di un lavoro che risulti sostenibile nel lungo periodo, anche in età avanzata. L’analisi mostra come, nella maggior parte dei casi, oltre a costituire una misura di welfare occupazionale, le misure di assistenza sanitaria integrative di origine contrattuale costituiscono veri e propri strumenti di welfare aziendale, andando a incidere ben oltre la semplice incentivazione fiscale, anche sull’assetto organizzativo e produttivo di impresa.
L’assistenza sanitaria integrativa, con prestazioni di natura preventiva che si traducono in un miglioramento delle condizioni di salute dei lavoratori, può essere infatti inserita e concepita all’interno di un progetto aziendale in cui viene ripensato il modo di fare impresa e di intendere il rapporto tra lavoratori e datore di lavoro. Il Rapporto evidenzia anche che, negli ultimi anni, si riscontra una tendenza a promuovere l’assistenza sanitaria integrativa di settore in detrimento della assistenza sanitaria integrativa aziendale, essendo sempre maggiore il numero dei Ccnl che prevedono l’adesione obbligatoria al fondo di settore.
Il welfare nel metalmeccanico
Per quanto riguarda in particolare il settore metalmeccanico, l’approfondimento ha confermato che il welfare nella contrattazione dell’industria metalmeccanica non conosce ancora uno sviluppo ordinato e razionale, a causa del mancato raccordo tra misure definite a livello di contratto collettivo nazionale di categoria e iniziative avviate concretamente a livello aziendale.
Detto questo, dove si è sviluppato in modo ordinato e consapevole, il welfare aziendale nella meccanica pare assolvere non solo alle classiche funzioni redistributive/concessive, ma anche a finalità produttive ottenute mediante il coinvolgimento dei lavoratori e un complessivo miglioramento della organizzazione aziendale e dei processi produttivi e di gestione del personale. Guardando al tipo di misure, il monitoraggio dei nuovi contratti della metalmeccanica sottoscritti nel 2018 conferma la grande attenzione attribuita nel settore per le misure di conciliazione (47%); emerge anche una ampia diffusione dei flexible benefit (58%); è modesta invece la diffusione di prestazioni di mensa e buoni pasti (26%) e di previsioni sulla formazione (21%).
Siamo dunque di fronte a un welfare perlopiù polarizzato tra le dimensioni occupazionale e aziendale, concentrato, infatti, da un lato sull’erogazione di quote welfare spendibili in maniera personalizzata dai lavoratori, all’altro lato su misure relative alla conciliazione e alla flessibilità organizzativa. Il welfare nella contrattazione aziendale della industria metalmeccanica pare assolvere a funzioni redistributive/ concessive e insieme produttive, finalizzate a un miglioramento dell’organizzazione aziendale; in questo scenario, pare invece più sacrificata la dimensione più strettamente “sociale” del welfare, riconducibile all’assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti e al sostegno all’educazione e istruzione.