Dalla parte di chi compra

Il confine tra consulenza e formazione è sempre più evanescente; affidarsi a un professionista preparato può aiutare a capire cosa serve davvero all’azienda e alle sue persone.

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di Marina Fabiano |

“Facciamo che io ero”, dicevamo da bambini assegnando i ruoli di gioco. Passatemi l’imperfezione linguistica e facciamo che io ero l’HR, il Responsabile del Personale, il decisore del prossimo progetto formativo in azienda, che comprenda leadership e coaching (mai più senza), teamwork o qualcosa di simile per questi gruppi di persone che non c’è verso di farli lavorare insieme senza che si azzuffino, e, mi raccomando, mettiamoci dentro del sano divertimento se no poi si lamentano e non partecipano, e al questionario finale ci danno un punteggio sotto zero.

Sì lo so che non sono tutti così, i direttori d’azienda o del personale, che molti, moltissimi, sanno quello che cercano e sono preparati; però non fa mai male confrontarsi su cosa occorre davvero all’azienda, che accresce il suo valore anche grazie a personale collaborativo e contento di lavorare proprio lì.

Autoformazione e consuformazione

Ora, è pure vero che la formazione, come il Coaching, come il cambiamento, come qualsiasi cosa impatti sulla persona, funziona se uno vuole formarsi, vuole ascoltare, comprendere, apprendere.

Altrimenti è acqua che scivola via senza lasciar traccia, se non una sensazione di umido che ben presto sparisce lasciando il terreno così com’era. Oggi c’è talmente tanto on-line, da leggere, da guardare, da sentire, per mettere in contatto, per ispirare, per suscitare curiosità, che mi domando quanto i collaudati sistemi formativi possano ancora essere validi ed efficaci. Eppure si, lo possono essere, ma con formule diverse, di pre-preparazione, di confronto, di discussione, di acquisizione in ciò che mi si adatta.

Se, ad esempio, sono un tipo introverso e scopro che il leader ideale è un gran comunicativo sempre aggiornato sui fatti di tutti, non dovrò per forza assomigliare allo stereotipo che mi rappresentano, ma trovare la “mia” formula comunicativa per rendermi comunque un leader attento e partecipativo.

Dunque autoformazione, prima di tutto, e poi consuformazione (consulenza+formazione), perché non serve più insegnare argomenti a se stanti, è necessario calarli proprio in quel contesto lì, in questa situazione attuale, con il gruppo di persone che hanno obiettivi in comune.

Confini evanescenti

Ormai il confine tra consulenza e formazione è sempre più evanescente. Un collega consulente, davvero molto bravo (Gianluca Diegoli, si occupa di Digital marketing e non solo) ha scritto in una delle sue preziose newsletter: “Non puoi fare consulenza efficace (intesa in senso originario di supporto temporaneo per camminare sulle proprie gambe, non come parola che oggi significa tutto e niente) se non hai persone formate per recepirla, e non puoi fare formazione (utile) in azienda senza conoscere a fondo la realtà in cui la dovrai calare e adattare. Ecco, se penso a quello che manca oggi per le aziende, è proprio uno strato di formazione che si posizioni oltre quella che insegna verticalità specifiche […] e prepari le persone in azienda a lavorare in modo ottimale con agenzie e specialisti, e ad apprendere il senso della trasformazione digitale, in un clima aziendale in cui non ci si preoccupa che «le persone più preparate se ne possano andare» ma si guardi alla formazione come parte essenziale della crescita delle organizzazioni, un investimento per il futuro”.

Parole dense e significative, in questo caso dedicate alla formazione digitale – di grande  attualità  e importanza  – che  ben si adattano a ciò di cui stiamo parlando. Tutto sommato i mondi paralleli al nostro mercato specifico possono ispirarci non poco, suscitando idee applicabili a costi contenuti.

Rapido, efficace ed economico

Ma torniamo al nostro direttore, quello che vuole o è stato incaricato di inserire un progetto formativo con le solite caratteristiche: rapido, efficace, economico, a basso impatto sulla produttività. Il solito miracolo, niente di nuovo. Spero che le cose nel frattempo siano un po’ migliorate, ma ne dubito.

I budget sono sempre limitati, i tempi sono sempre ristretti, gli obiettivi sono sempre immediati. Tranne per le aziende i cui direttori hanno compreso, e ne difendono le peculiarità e i risultati nel lungo termine, raccontandoli generosamente a chi sa ascoltarli, che un singolo progetto formativo efficace non esiste; che questa cosa della formazione continua a 360° deve essere assorbita, scelta e condivisa con chi la vuole percorrere; che per lavorare bene insieme occorre avere e praticare solidi valori di fondo; che chi decide deve saperlo fare con cognizione di causa e con buon senso.

Non è mai troppo tardi

Esistono invece – per fortuna, una soluzione c’è sempre – strategie formative che iniziano in qualsiasi momento della vita professionale dei capi e dei collaboratori, sono fatte di tasselli spalmati nel tempo (video ed esercizi online, letture, momenti di condivisione e confronto, workshop, sessioni a tema, ecc.), di cui i direttori (primi a dover assimilare, comprendere e concordare questa strategia) decidono a quali consulenti affidarsi (non solo quelli bravi a raccontarsi, o quelli diplomati in ogni angolo del mondo, meglio quelli che hanno una vasta esperienza e di solito non sono disponibili da subito, quelli che ai progetti si appassionano e dimostrano immediatamente di sapere di cosa stanno parlando perché hanno lavorato, non solo insegnato teorie, quelli che offrono solide referenze, che comunque vanno verificate).

Una delle letture che molto tempo fa mi aprì gli occhi sul mondo della consulenza – proprio mentre mi accingevo a farne parte – fu “Diavolo di un consulente” di Lewis Pinault (edizioni Etas). Sicuramente aiuta a capire lo spietato (non sempre) mondo della consulenza, dove gli  interessi delle agenzie e dei clienti spesso divergono. Se io fossi quel direttore, quindi, non mi accontenterei di qualche colloquio o di leggere un lungo e articolato progetto; proverei le basi d’aula, i workshop, i corsi on-line e quant’altro sulla mia pelle, prima di progettare per altri.

Lo so, sembra banale, però raramente accade, come se molti direttori venissero assegnati al ruolo corredati del relativo sapere. L’umiltà di voler apprendere, prima di decidere un piano formativo che coinvolge altre persone, ha il grande vantaggio di consegnare al decisori di turno ampio sapere che rimane di sua personale proprietà. Mica male, no?

LA RICERCA DEI PICCOLI INDIZI

Un testo che aiuta a capire come stare sempre un passo avanti, e come anche le strategie più solide possono franare di fronte al caso, è “Small Data” di Martin Lindstrom – i piccoli indizi che svelano i grandi trend (edizione Hoepli).
A parte il fatto che è scorrevole e curioso come un romanzo, è affascinante scoprire che esistono consulenti (strapagati) che girano il mondo alla ricerca di minuscoli indizi che rivelano i comportamenti umani, cioè dei clienti/consumatori.

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