Il coaching a supporto della salute in azienda

Aiutare i lavoratori ad affrontare una eventuale malattia e consigliare l’azienda a trovare soluzioni che sostengano business e umanità: sono alcuni dei compiti dell’Health Coaching.

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mani che unite formano una testa

di Marina Fabiano |

Non è che siamo tutti altruisti. Anzi. L’azienda che si prende cura dei propri dipendenti però, è ormai appurato che ne trae benefici.

Oggi non vogliamo parlare della normale attenzione verso il ben-stare dei collaboratori, cosa che ormai diamo per scontata per le aziende guidate da leader oculati, quelli che sanno ciò che fanno. Oggi parliamo di salute, di persone che si ammalano o che manifestano debolezze causate da problemi psico-fisici. In questa nicchia, neppure tanto ristretta, si è sviluppato un sistema di coaching dedicato a persone non sanissime e ai loro familiari.

Health Coaching: ne abbiamo sentito parlare?

In questo campo vediamo emergere almeno tre filoni: il coaching dedicato ai professionisti della salute (medici, operatori professionali); il coaching per i protagonisti della malattia e i loro familiari; il coaching orientato all’ambiente di lavoro. Mi concentrerei su quest’ultima nicchia, dove abbiamo colleghi, collaboratori e direttori che non sanno bene come trattare la persona malata, offrono inutili frasi di circostanza poi ignorano, addirittura sbuffano di fronte alle inevitabili assenze.

Eppure, esistono modi sereni per interloquire e supportare le persone oggetto della malattia, sia essa fisica che psichica, per farle sentire sempre e costantemente parte dei progetti, per beneficiare del loro tempo e del loro lavoro. Niente di troppo buonista, nessuna dote da buon samaritano. È essenzialmente questione di scambio informativo, di imparare un linguaggio comune, di far spazio all’altruismo latente di cui – voglio sperare – siamo tutti portatori silenti. Il compito del coach, e quello dei rappresentanti d’azienda (HR, dirigenti, leader) è quello di mettere in relazione aspettative, esigenze, domande e risposte, evitando i non detti che creano imbarazzo e distolgono le attenzioni.

Situazioni complesse

Alcune situazioni che l’ambiente di lavoro si trova a dover interfacciare sono più complesse di altre.

  • Ho una malattia più o meno grave che mi costringerà a periodi di assenza. Lo dico a tutti o no? Mi faccio compatire o metto su la faccia del coraggioso e sminuisco? Riuscirò a farmi carico dei miei progetti magari lavorando parzialmente da casa o meglio delegare ad altri e accontentarmi delle briciole? Tenere le redini o rinunciare?
  • Come collega, faccio finta di niente o mi interesso? Offro supporto? Ma poi mi dovrò far carico anche delle sue incombenze, e fino a quando? Qualcuno mi riconoscerà l’impegno?
  • Come capo, come gestirò le assenze non programmate, ridistribuendo il lavoro a elastico (ti affido il progetto o andiamo per passi parziali) o posizionando il collaboratore ammalato tra le risorse meno utili, praticamente emarginandolo?

Non facciamo finta di nulla, l’ambiente di lavoro pullula di domande inespresse in situazioni simili, più o meno critiche, dense di umanità, sentimenti e necessità reali e logistiche. Il coaching porta a esprimerle, queste domande, a concordare passi e passaggi, a definire risposte che alleggeriscano l’atmosfera, la rendano respirabile senza tensioni, consentano a tutti i partecipanti di lavorare quasi-serenamente, eliminando imbarazzi e chiacchiericci.

È certo che il contributo di un coach, sia a livello personale (soprattutto con il protagonista della malattia e con il team leader, che probabilmente ha necessità prima e più degli altri di trattare e gestire l’argomento, dal momento zero in poi, fino all’auspicabile lieto fine), che con il gruppo di lavoro dei colleghi coinvolti, diventa indispensabile.

Di cosa stiamo parlando?

Le situazioni che potenzialmente includono l’Health Coaching in realtà non sono soltanto casi di malattie a cura lunga, con necessità di eventuali interventi chirurgici, periodi di convalescenza e riabilitazione, momenti di scarsa energia fisica. Anche le gravidanze, al di là del momento gioioso (oh che bello, aspetti un bambino, sono felice per te!) suscitano domande, disequilibri, incertezze, dubbi da quietare.

E pure le malattie insidiose della mente (depressioni, esaurimenti, lutti, eventi di impatto morale) possono portare a comportamenti distorti e necessari chiarimenti. In questi casi è ovvio che il coach non interviene nella cura, ma semplicemente nella gestione delle dinamiche professionali e relazionali, e nel motivare la persona a cercare soluzioni per uscire dal momento di disagio. Il coaching rappresenta la piattaforma su cui i partecipanti si muovono in fiducia per colloquiare e proseguire nel percorso della vita, evitando (o almeno smorzando) lo stress e le sue ingannevoli conseguenze.

Alla fine i problemi con le persone ammalate sono due. Il primo nei confronti della persona stessa, che non va lasciata sola ad affrontare la malattia e ciò che la situazione provoca. Il secondo nei confronti dell’azienda, che va aiutata a trovare soluzioni per tutti, che sostengano business e umanità contemporaneamente. Si tratta di un processo altamente interattivo, un circolo vizioso che richiede un notevole livello di attenzione e di coinvolgimento per trasformarsi in circolo virtuoso.

Tutto fa brodo

Naturalmente tutto ciò che si apprende da un coach, dalle sue sessioni, dalle sue domande, resta dentro e torna utile a ognuno nella vita quotidiana (professionale e non). Aver a che fare con persone dal carattere più o meno enigmatico, dovuto a situazioni di stress fisico o mentale, aver a che fare con familiari ammalati o con disagi psichici o materiali è cosa comune.

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo” faceva dire Lev Tolstoj alla sua eroina Anna Karenina.

Anche nell’ambito dell’health coaching è importante concentrare pensieri e obiettivi verso il futuro, cosa che sembra sia diventato l’argomento del giorno in ogni settore. Tutti disquisiscono di futuro, come se fino a ieri non fosse stato un tema considerabile: a maggior ragione, cercando di uscire da problemi veri, volendo dare ottimismo ed energie a chi sta vivendo un momento di sofferenza, il futuro diventa l’obiettivo luminoso a cui rivolgere tutte le attenzioni.

Consideriamo soprattutto che:

  • avere un’occupazione apprezzata e utile fa bene alle persone coinvolte nella malattia, le distrae dal pensiero fisso e porta positività;
  • un eventuale ambiente di lavoro stressato o criptico invece fa molto male, avere a che fare con colleghi e capi che non comprendono (magari perché non sanno) è estremamente deleterio;
  • malattie psico-fisiche (come depressioni o ansie gravi) hanno un negativo impatto economico per l’azienda;
  • le azioni possibili per diffondere conoscenza e prevenzione, non solo di singoli casi ma in generale, sono molteplici, basta cominciare per identificarne le potenziali utilità;
  • anche questo è formazione comportamentale, alla fine torna a beneficio dell’azienda e dei suoi partecipanti, limitando l’assenteismo e aumentando la collaborazione volontaristica (tra l’altro).

Elementi di attenzione

Sappiamo bene che alcune situazioni possono indurre malattie, più psicologiche che fisiche, alle quali è bene prestare attenzione.

Ad esempio:

  • la comunicazione volutamente vaga e frammentata (non sapere procura dubbi, ansia, proietta film interiori disastrosi);
  • scarsa partecipazione alle decisioni (se devo fare sempre ciò che decidono altri, se non faccio minimamente parte del processo decisionale, prima o poi mi demotivo, causa di stress);
  • orari di lavoro troppo lunghi e restrittivi, esagerato controllo, mancanza di fiducia;
  • mancato ascolto delle problematiche individuali (conosco persone che abitano qui e vengono trasferite laggiù, senza la minima possibilità di colloquio per far comprendere – ed eventualmente incontrare – le proprie esigenze logistiche);
  • capi inadeguati (ebbene sì, esistono manager incapaci che diventano causa di malattie per i propri collaboratori, che se ne hanno la forza se ne vanno, altrimenti perdono la salute e diventano un costo occulto per l’azienda);
  • compiti troppo complessi, assegnati senza la dovuta formazione o senza la misura delle competenze esistenti (mi chiedono di svolgere un lavoro per cui non sono preparato, fallisco, mi ammalo);
  • mobbing, e qui non mi addentro, sappiamo tutti cos’è, come si manifesta e quando lo rileviamo.

Sapere è risolvere. Conoscere, parlare, condividere è parte della soluzione.

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