Cercasi Umanesimo Integrale

L’Europa, come dimostrano le ultime strategie, sembra aver abbandonato la centralità dell’uomo per affermare la sola centralità dell’ambiente.

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umanesimo integrale

di Rossano Salini* |

Tra le tante cose di cui siamo stati privati in questa lunga crisi legata all’emergenza Coronavirus, una delle più importanti è certamente la scuola.

La chiusura degli istituti scolastici, infatti, non ha solo messo in luce l’importanza, dal punto di vista sociale e della gestione della vita familiare, di questa istituzione spesso data per scontata, ma ci ha anche ricordato quanto la formazione delle persone, in particolare in età giovanile, sia uno dei fulcri imprescindibili del nostro modo di vivere.

I ragazzi, privati del rapporto con chi insegna, con chi li forma, con chi dà loro una serie di elementi fondamentali per porre le basi del loro modo di ragionare e quindi di affrontare la vita, si sono trovati sperduti, e hanno anch’essi in molti casi riscoperto il valore straordinario di quel “fenomeno scuola” che a volte, complice l’età, snobbano. Ma anche i genitori hanno capito una volta di più quanto educazione e formazione siano i veri pilastri su cui impostare la propria vita.

Ci vorrebbe un ultimo passaggio: che anche chi ha responsabilità politiche e istituzionali percepisse con ancor maggiore urgenza la centralità di istruzione e formazione nell’impostazione delle strategia di crescita del nostro Paese e dell’Europa. Una formazione che, naturalmente, non deve riguardare solo l’età giovanile, come ormai abbiamo ben appreso negli ultimi decenni, ma anche tutta la vita adulta e tutto il percorso lavorativo e professionale di ciascuno.

La Strategia di Lisbona

L’occasione è dunque preziosa per fare una riflessione su quanto effettivamente istruzione e formazione siano al centro delle agende politiche nel nostro Paese e più in generale nel nostro Continente.

Da questo punto di vista, facendo un passo indietro e provando a dare uno sguardo di prospettiva su più di decenni, dobbiamo dire che il nuovo millennio era partito in Europa con il piede giusto. Molti di coloro che si occupano di questi temi, ma più in generale tutti gli osservatori dei fenomeni politico-istituzionali, ricordano bene la cosiddetta strategia o agenda di Lisbona.

Riuniti nel marzo del 2000 nella capitale portoghese, i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, avevano lanciato l’obiettivo di fare dell’Europa entro il 2010 “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Da allora, le diverse misure da mettere in atto per raggiungere questo obiettivo hanno preso appunto il nome di “Strategia di Lisbona”. Tant’è che al Consiglio europeo di Stoccolma nel marzo 2001 furono definiti i tre obiettivi di tale strategia: aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione nell’Unione europea; facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e di formazione; aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno.

Obiettivi che il Consiglio dei Ministri dell’Istruzione del maggio 2003 declinò in cinque aree prioritarie di intervento, definendone anche i livelli di riferimento e la scadenza temporale entro il 2010: portare gli abbandoni scolastici sotto la soglia del 10%; aumentare i laureati in matematica, scienze e tecnologia, favorendo anche la diminuzione dello squilibrio fra sessi; aumentare il numero di giovani che completano gli studi secondari superiori (almeno l’85% della popolazione ventiduenne); diminuire la percentuale dei quindicenni con scarsa capacità di lettura di almeno il 20% rispetto al 2000; aumentare la media europea di partecipazione a iniziative di “lifelong learning”, portandola almeno fino al 12% della popolazione adulta in età lavorativa tra i 25 e i 64 anni.

Ancora oggi, a rileggerla, un’agenda straordinaria, e un punto di riferimento imprescindibile per capire cosa significa prendere sul serio la priorità del sistema di istruzione e formazione per lo sviluppo di un Continente.

La Strategia Europa 2020

Purtroppo, però, le cose andarono diversamente. Certo, sul finire del decennio il mondo fu sconvolto da una pesantissima crisi economica; ma non basta questo per giustificare il fatto che molti degli obiettivi sopra citati non erano stati raggiunti. L’Europa decise a quel punto di aggiornare le proprie strategie: si aprì quindi una seconda fase, quella della “Strategia Europa 2020”, che recepì i contenuti della precedente strategia di Lisbona, andando però ad ampliarli, e in un certo senso annacquandoli, come spesso accade quando le priorità diventano troppe.

La nuova strategia, infatti, non fu più concentrata solo sull’aspetto dell’economia della conoscenza e dello sviluppo del capitale umano concentrandosi su istruzione e formazione, ma ampliò gli obiettivi a tre ambiti: in primis la crescita intelligente, attraverso lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, in continuità con Lisbona; a questo si aggiunse la crescita sostenibile, con un’economia a basse emissioni inquinanti; e infine la crescita inclusiva, volta a raggiungere un alto tasso di occupazione attraverso coesione sociale e territoriale, soprattutto per rispondere alle conseguenze drammatiche lasciate sul campo dalla pesante crisi economico-finanziaria.

Furono anche stilati i nuovi obiettivi: il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; innalzare al 3% del Pil i livelli d’investimento pubblico e privato nella ricerca e lo sviluppo; ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di energia; il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà.

La questione ambientale

Se arrivati al termine del primo decennio fu chiaro che gli obiettivi della strategia di Lisbona erano stati raggiunti solo in maniera molto parziale, giunti ora al fatidico 2020 ciò che stupisce in misura maggiore è che a livello europeo e dei singoli Stati nessuno si interroghi se tali obiettivi di questa seconda strategia siano stati o meno raggiunti.

È venuto meno, in un certo senso, anche l’aspetto di valutazione del raggiungimento dei target prefissati. Ma ciò che più lascia sconcertati è che, se in una prima fase siamo passati da obiettivi legati a una crescita intelligente (investimenti in istruzione e formazione) a uno spettro più ampio legato a crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, all’inizio di questo terzo decennio lo spostamento dell’attenzione dei decisori politici è stata interamente concentrata sulla sola crescita sostenibile.

Per quanto riguarda l’agenda europea per il 2030, infatti, si parla ormai solo di Obiettivi di  sviluppo sostenibili (vale a dire i Sustainable development goals o Sdg), adottati dapprima in sede di Nazioni Unite, nel 2015, e poi anche a livello della Ue.

Questi obiettivi sono: una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990; una quota almeno del 32% di energia rinnovabile; un miglioramento almeno del 32,5% dell’efficienza energetica.

Uno scenario preoccupante

Non si vuole assolutamente intervenire qui nel merito dell’importanza della questione climatico-ambientale. Quel che sconcerta è come il dibattito pubblico abbia del tutto abbandonato i fondamentali obiettivi dell’agenda di Lisbona senza averli raggiunti.

Constatazione da cui discendono una serie di domande: l’Europa ha deciso di abbandonare definitivamente l’obiettivo dell’economia della conoscenza e dell’investimento in capitale umano? L’Europa, in poche parole, sta abbandonando la centralità dell’uomo per affermare la sola centralità dell’ambiente? Ma che cos’è l’ambiente senza l’uomo? E che cos’è il continente Europa se perde il suo contenuto più grande, cioè l’umanesimo integrale? Chi si occupa in prima persona di formazione non può non guardare a questo scenario con preoccupazione e sconcerto.

Ora, come detto, l’emergenza Coronavirus ci ha almeno in parte ricordato quanto il primo stadio del processo formativo, vale a dire la formazione delle generazioni più giovani, sia fondamentale, e quanto la sua assenza pur temporanea pesi.

Quel che c’è da augurarsi ora è che vi sia una presa di coscienza adeguata, con decisioni conseguenti. Che questa situazione drammatica non si risolva solo in una riflessione sulla didattica on-line, che è parte marginale del problema (e mai e poi mai potrà sostituire, nemmeno in parte, la didattica vera, cioè quella basata sul rapporto personale e diretto), ma si trasformi in un ritorno a quegli obiettivi di Lisbona troppo presto abbandonati, ma che oggi più che mai rivelano la loro stringente attualità.


* Rossano Salini, laureato con lode in lettere classiche, dottore di ricerca in italianistica, è giornalista professionista. Ha pubblicato articoli e interviste su diverse testate nazionali.

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