di Cesare Damiano |
Con l’accordo raggiunto tra i Paesi membri il 21 luglio scorso, l’approvazione del bilancio europeo 2021-2027 consiste in uno sforzo finanziario notevole di 1.824 miliardi di euro, che combina i 1.074 miliardi di euro del quadro finanziario pluriennale con il programma Next Generation EU, pari a 750 miliardi di euro.
Le risorse globali messe in campo dall’Unione Europea sono così arrivate a ben 2.364 miliardi di euro se si sommano agli aggiuntivi 540 miliardi di euro di fondi già in precedenza messi a disposizione per il sostegno all’occupazione, alle imprese e agli Stati membri. L’intesa è certamente di portata storica, e rinvigorisce, dopo anni di torpore solidaristico, il disegno europeo di crescita condivisa: per la prima volta gli Stati membri hanno optato per un elevato debito in comune per permettere il finanziamento dei piani nazionali di ripresa e risanamento.
L’Italia, a sua volta, pare uscire vincitrice dalla concitata maratona negoziale del 21 luglio, con 209 miliardi di euro (82 di sussidi e 127 di prestiti) ad essa destinati. Approssimando un calcolo, quindi, tra i 209 miliardi del Recovery fund e le ulteriori risorse europee (27 miliardi del fondo Sure; 40 miliardi della Bei; 36 miliardi del Mes) il Governo italiano avrà a disposizione 312 miliardi di euro di fondi per elaborare un piano nazionale di ripresa economica. Una cifra che non ha precedenti e che consentirà di coniugare tutele, sviluppo e crescita. Considerando tutti i fondi a disposizione, vale la pena avviare una seria riflessione sull’opportunità di attivare la linea di credito del Mes “Pandemic crisis support”, destinata a finanziare i costi diretti e indiretti della Sanità sostenuti dai Paesi più colpiti dall’emergenza, come l’Italia. Una valutazione, questa, che dovrebbe travalicare le posizioni di mero carattere politico per misurare la convenienza di attivare prestiti senza alcuna ulteriore condizionalità e con tassi estremamente vantaggiosi.
Sfide immediate
Oltre alla questione sanitaria, è evidente che l’acuirsi delle incertezze economiche globali, legate a una pandemia procrastinata a data da destinarsi, pone delle sfide immediate che rendono urgente l’elaborazione di un piano di ripresa rapido e indirizzato al sostegno delle imprese e del lavoro.
Intanto, in attesa della iniezione di liquidità prevista con i progetti di investimento sostenuti dai fondi europei, condizione necessaria per evitare il crollo dell’occupazione e l’aggravarsi della crisi economica, è stata la proroga, ad opera del D.L. n. 104/2020 (D.L. agosto), della cassa integrazione (art. 1) e del blocco dei licenziamenti (art. 14). Al riguardo, a fronte delle preoccupazioni sul mancato effetto continuativo delle proroghe fino a dicembre 2020, è opportuno guardare alla attivazione del fondo Sure come soluzione per prolungare le misure di sostegno al reddito. Funzionali al medesimo scopo sono, tra l’altro, gli incentivi alle imprese che assumono (art. 6 e 7) o che non richiedono i trattamenti di cassa integrazione (art. 3), nonché le indennità per alcune categorie di lavoratori che non potrebbero beneficiarne (artt. 9, 10, 12).
È innegabile, infatti, che la ‘macchina’ della protezione sociale emergenziale non potrà spegnersi a breve. Anzi, anche il Consiglio UE, nelle raccomandazioni rivolte all’Italia, annovera il rafforzamento e la riorganizzazione delle misure di sostegno al reddito tra le priorità da affrontare nella strategia nazionale 2020-2021, a fronte di uno scenario sociale interno che già prima della pandemia era caratterizzato da un elevato rischio di povertà, esclusione sociale e disparità di reddito. L’Italia, dal canto suo, pare rispondere prontamente al richiamo dell’Unione Europea, tanto che il Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha annunciato l’avvio del tavolo tecnico per la riforma, che mira a istituire un ammortizzatore sociale unico, rimediando alla frammentarietà dei meccanismi assicurativi e rafforzando il raccordo con le politiche attive del lavoro.
L’impatto dei fondi sull’occupazione
Riguardo i fondi UE, è opportuno evidenziare il potenziale (colossale) impatto dei piani di risanamento sui livelli occupazionali europei. Secondo le stime dell’European Trade Union Confederation, sul versante occupazionale le nuove risorse potranno salvaguardare 60 milioni di persone dalla perdita del lavoro e da una disoccupazione di lunga durata, se si tiene in considerazione che in Europa si contano 45 milioni di lavoratori con regimi di lavoro a orario ridotto, 2 milioni con contratto a tempo determinato a rischio disoccupazione e 14,3 milioni di disoccupati permanenti, in aumento di 900.000 unità durante la crisi pandemica.
Nella logica di superare le misure assistenziali, le istituzioni europee hanno già fornito gli orientamenti sulle misure da adottare nel piano di rilancio nazionale, nel solco degli obiettivi individuati dal semestre europeo, a partire dalla transizione verde e digitale. Invero, gli ulteriori criteri posti per l’approvazione dei piani nazionali sono soprattutto incentrati sul rafforzamento dei “non economic values”, cioè dei valori non economici, fortemente sottostimati dalle misure economico-finanziarie adottate per affrontare la crisi del 2008. Tra i criteri determinanti, infatti, è incluso «il rafforzamento del potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e la resilienza sociale ed economica dello Stato membro», come scrive il Consiglio UE.
In poche parole, il bilancio europeo appare orientato alla creazione di posti di lavoro (per lo più nei settori green e digitale) in un’economia sostenibile.
D’altronde, l’attenzione rivolta dalle istituzioni europee alle questioni sociali, oltre che ambientali, era già emersa con l’approvazione del fondo Sure – lo strumento di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza – che ricoprirà i costi delle misure nazionali collegate alla creazione o all’estensione di regimi di riduzione dell’orario lavorativo e a misure analoghe finalizzate a ridurre l’incidenza della disoccupazione e della perdita di reddito.
Anche il fondo Sure rappresenta una novità assoluta a livello europeo, traendo insegnamento dalle politiche di salvaguardia dei livelli occupazionali adottate dagli Stati membri durante la crisi economica del 2008. Il nuovo fondo, tra l’altro, si inscrive nel più ampio disegno sociale perseguito dalle istituzioni europee attraverso il Pilastro europeo dei di- ritti sociali, orientato alla universalizzazione delle tutele dei lavoratori, a prescindere dal loro status contrattuale e lavorativo: in questo senso si legge l’inclusione, tra i possibili beneficiari dei regimi garantiti dal fondo Sure, dei lavoratori autonomi, una categoria vulnerabile e in costante incremento a livello europeo.
Lo stesso fil rouge si rinviene nello stanziamento di 22 miliardi di euro per il sostegno all’occupazione giovanile “di qualità” attraverso lo “Youth Employment Support package” che, tra i filoni d’intervento, prevede il rafforzamento del programma Garanzia Giovani – con particolare attenzione, anche in questo caso, alle categorie più vulnerabili, dai disabili a chi vive nelle aree rurali – e il potenziamento della formazione professionale sulle competenze spendibili nell’economia digitale e verde. Parte delle risorse finora passate in rassegna dovranno dunque essere utilizzate per accompagnare i cambiamenti strutturali e ammodernare il tessuto produttivo nazionale, in senso ecologico e digitale.
A questo, secondo le parole del Ministro Roberto Gualtieri, sembrano destinate le prime risorse europee – utilizzabili per i progetti partiti da febbraio 2020 – a sostegno delle imprese che investono nelle innovazioni tecnologiche attraverso l’iperammortamento al 200% del loro costo di acquisto. La necessità di sostenere l’ammodernamento tecnologico richiama di nuovo alla men- te il progetto di riforma degli ammortizzatori sociali, che, a detta del Ministro Catalfo, ha come ulteriore obiettivo l’estensione della protezione sociale per i lavoratori delle imprese impegnate nelle riconversioni.
La necessità di politiche attive
A tali innovazioni dovrà inevitabilmente essere associata una svolta negli strumenti di politica attiva del mercato del lavoro per il rapido assorbimento della domanda di lavoro e il rafforzamento della competitività nel contesto globale.
Il riferimento principale è alla necessità di incentivare la formazione professionale infra-generazionale, aggiornando le obsolete competenze degli adulti in età lavorativa e rafforzando il bagaglio di conoscenze e competenze green e digital delle nuove generazioni, al fine di sollecitare una reazione endogena del mercato del lavoro attraverso un più rapido incontro tra domanda e offerta di lavoro. A ciò, si sommi l’opportunità di utilizzare la formazione professionale come vero e proprio strumento di protezione sociale per coloro che, in un periodo così difficile, rischiano di perdere il posto di lavoro.
A tali esigenze pare rispondere il Fondo Nuove Competenze, istituito col d.l. Rilancio e incrementato col d.l. agosto – attraverso cui, per i lavoratori delle imprese in difficoltà, una parte dell’orario di lavoro potrà essere convertito, in via temporanea, in momenti di formazione professionale finanziati dallo Stato. L’istituzione del Fondo, pertanto, pare cogliere nel segno, ma l’efficacia della misura dipenderà soprattutto dalla prescrizione di puntuali criteri a garanzia della qualità della formazione e dall’impegno della contrattazione collettiva di secondo livello, cui è rimessa l’intesa per la rimodulazione dell’orario di lavoro per scopi formativi.
L’impiego delle ingenti risorse europee messe a disposizione del nostro Paese sarà quindi determinante per realizzare il passaggio dalle misure emergenziali alle riforme strutturali per il rilancio economico e sociale nazionale. L’auspicato collegamento tra protezione sociale e politiche attive del lavoro e l’incentivo alla transizione digitale e verde saranno fattori determinanti per sollecitare la ripresa del tessuto produttivo e l’innalzamento – più che la mera salvaguardia – dei livelli occupazionali.
D’altronde, queste direttrici d’intervento saranno prerequisito determinante per accedere alle quote dei fondi del New Generation Ue. Non resta che attendere il piano di riforme che il Governo intende presentare all’Unione europea per cogliere meglio il disegno riformatore che dovrebbe traghettare l’Italia fuori dalla crisi, in direzione di una calibrata conciliazione tra interessi economici ed esigenze sociali. Il fattore tempo e il fattore velocità diventano essenziali, dunque, per connettere la fase dell’emergenza e della tutela a quelle degli investimenti e del rilancio produttivo di qualità.
Chi è Cesare DamianoNato a Cuneo nel 1948, è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel secondo Governo Prodi ed è ricordato per essere l’artefice del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. Dal 2006 al 2018 è Deputato della Repubblica eletto nelle liste del PD e dal 2013 al 2018 è Presidente della Commissione Lavoro della Camera. Cesare Damiano svolge oggi attività di ricerca, formazione e consulenza in materia di sicurezza, diritto del lavoro, politiche dell’occupazione, relazioni industriali, contrattazione collettiva, welfare e previdenza, ed è Presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare e del Centro Studi Mercato del Lavoro e Contrattazione. |