di Rossano Salini* |
Mentre l’Italia aspetta con ansia di sapere come verranno gestiti i 209 miliardi del Recovery Fund, messi a disposizione dall’Europa per affrontare quella che sarà una delicata e lunga fase di ripartenza dopo la pesante crisi economica generata dai lockdown di questo 2020, dalla Corte dei Conti Ue arriva un dato che definire sconfortante è poco: l’Italia è stata in grado, nel 2019, di utilizzare solo il 30% dei fondi strutturali europei.
Siamo al penultimo posto in Europa; peggio di noi solo la Croazia. La media europea non è altissima, di poco superiore al 40%; ma ci sono Paesi come la Finlandia e l’Irlanda che si sono dimostrati in grado di assorbire oltre il 60% di quei fondi. Senza considerare il fatto che altri Paesi, come la Germania, non solo si collocano al di sopra della media europea, ma hanno anche situazioni economiche e debitorie del tutto imparagonabili alle nostre. Noi, che di quei fondi avremmo molto più bisogno, ci dimostriamo invece incapaci di sfruttarli.
Efficienza e raggiungimento degli obiettivi
Tutto questo non fa ben sperare in merito alla gestione dei soldi che arriveranno. Già in questi mesi ci tocca, ahinoi, assistere al penoso batti e ribatti intorno ai 36 miliardi del nuovo Mes, destinati agli investimenti in sanità. Abbiamo sentito dire che non vanno presi perché costituirebbero nuovo debito; come se tutte queste risorse di cui stiamo parlando non fossero tutte quante debito, e come se l’alternativa (cioè recuperare le risorse sul mercato) non fosse anch’essa debito, e per di più a condizioni peggiori.
Ma al di là di questo singolo, seppur sconfortante aspetto del nostro dibattito politico nazionale, quel che più rileva è che il dato messo in luce dalla Corte dei Conti Ue non riguarda solo la nostra incapacità di prendere decisioni a livello politico, ma parla anche della strutturale incapacità della nostra Pubblica Amministrazione di muoversi in maniera efficace a servizio del Paese. Il problema dei problemi, in Italia, rimane la macchina pubblica, il mastodontico apparato statale finanziato dai cittadini, che non solo non restituisce in maniera adeguata quanto dagli italiani sborsato in termini di tassazione per mantenerlo in vita, ma che per giunta si dimostra incapace di sfruttare le risorse che arrivano dall’Europa per interventi strutturali. Una macchina statale che comprende tutte le sue diverse articolazioni, cioè Comuni, Province e Regioni: è lì infatti che molti dei progetti legati agli interventi finanziabili con i fondi strutturali si impantanano e svaniscono.
Naturalmente a tutto questo si aggiunge, in questa fase, la mancanza totale di una guida politica sicura, che abbia come obiettivo reale l’efficientamento della macchina pubblica e che lavori con dedizione per perseguirlo. Mai come in questo momento, invece, vediamo una politica completamente dedita ad affrontare l’emergenza nazionale con toni a metà tra il sentimentale e il paternalistico, proprio quando invece ci sarebbe un bisogno totale e radicale di concretezza, di spirito manageriale, di efficientamento, di obiettivi da raggiungere in tempi certi.
Non è questo il momento delle vere o posticce letterine sul Natale di bambini di 5 anni inviate al presidente del Consiglio, diffuse con tanto di risposta bonaria dallo staff comunicativo del Governo. E non è nemmeno il momento in cui avere – sia consentito dirlo – un Commissario all’emergenza Covid che anziché comportarsi, come dovrebbe essere nel suo ruolo, da uomo d’azione e da persona concreta e spiccia, si dilunga invece in conferenze stampa fumose, durante le quali, con tono pretesco, anziché dettagliare la situazione reale della crisi e l’avanzamento delle procedure per porvi rimedio, dà spazio a commenti a volte di carattere politico e altre volte di carattere sociale, dispensando prediche e ramanzine all’esterno, e auto-assoluzioni all’interno.
Ripensare l’amministrazione statale
L’Italia che non è in grado di sfruttare le risorse europee, che ha alle spalle una situazione debitoria pesantemente critica e in costante peggioramento, messa in ginocchio in alcuni settori cruciali per la nostra economia dalla crisi Covid, ha bisogno dell’esatto contrario di tutto questo.
Deve, senza perdere ulteriore tempo, prendere tutte le risorse messe a disposizione dall’Ue e sfruttarle al meglio. E deve poi mettere in atto un piano razionale e di lungo termine di ripensamento globale di tutta la macchina pubblica, anche in un’ottica di maggiore collegamento tra pubblico e privato. Troppo spesso abbiamo sentito critiche a una presunta “aziendalizzazione” della pubblica amministrazione, in vari settori (penso alla scuola o alla sanità), come se da questo fosse derivato in gran parte il peggioramento dei servizi nel nostro Paese nell’ultimo periodo.
Prima di tutto verrebbe da chiedere dove mai si è vista questa aziendalizzazione: l’Italia rimane uno dei Paesi europei con la più massiccia presenza dello Stato nella vita dei cittadini e nella vita dell’economia, con un aumento sensibile di questa propensione negli ultimi mesi grazie all’azione fortemente statalista dell’attuale e del precedente governo. Ma oltre a questo bisognerebbe anche chiarire una volta per tutte se un tale processo di aziendalizzazione sarebbe veramente un male, e non invece un bene: fermo restando il principio del perseguimento del bene pubblico e non del profitto, è evidente che la nostra macchina statale avrebbe bisogno, eccome, che criteri di efficienza e di valutazione dell’operato diventassero molto più stringenti, esattamente come avviene in un’azienda privata.
Invece tutto rimane invariato, e per il fatto che si sfrutta solo il 30% dei fondi strutturali europei, ad esempio, nessuno verrà mai chiamato a rispondere.
Se c’è una cosa dunque che questa lunga emergenza sanitaria ed economica ci deve insegnare è la necessità di cambiare radicalmente passo da questo punto di vista. Più la situazione si fa stringente – e raramente lo è stata come in questo periodo – più deve diventare chiaro a tutti che sul tema dell’efficienza e del raggiungimento degli obiettivi il Governo, lo Stato e tutta la Pubblica Amministrazione non possono più permettersi di tentennare o evadere il problema. È una responsabilità troppo grande, in un momento troppo delicato.
* Rossano Salini, laureato con lode in lettere classiche, dottore di ricerca in italianistica, è giornalista professionista. Ha pubblicato articoli e interviste su diverse testate nazionali.