”Il lavoro agile o smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Questa è la definizione che riporta il Ministero del Lavoro, ma esistono poi altre definizioni provenienti da fonti differenti. L’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”, mentre secondo Andy Lake (2016) la cultura dello Smart Working consiste in livelli più elevati di lavoro collaborativo: tra team, tra individui, con partner esterni e con un pubblico più ampio. Tutto ciò presuppone flessibilità, apertura mentale verso nuovi modi di lavorare e fornire servizi, con un costante orientamento verso i risultati.
Va quindi accantonato il concetto di “comando e controllo” per spostarsi verso un clima di “fiducia” e accantonare, altresì il concetto di “spazi territoriali/personalizzati” per convergere verso “spazi condivisi con risorse condivise”. Occorre pertanto promuovere azioni che vadano nella direzione dell’autonomia personale attraverso nuovi modi di lavorare che puntino su una maggior equilibrio tra lavoro, famiglia, salute e benessere. Filo conduttore di questo processo è l’apprendimento continuo basato sull’utilizzo delle nuove tecnologie per consentire ai dipendenti di migliorare e sviluppare le proprie skill anche se fisicamente lontani dalla sede aziendale. Questa modalità di lavoro delocalizzata presuppone un forte spirto di leadership, utile a sti- molare e coordinare il team da remoto, e una forte capacità organizzativa orientata ai risultati.
Durante e dopo il periodo Covid-19
Nel periodo pandemico abbiamo sperimentato (o meglio stiamo ancora sperimentando) uno Smart Working “agevolato”, anche un po’ improvvisato, molto più vicino al concetto di telelavoro. Questa “sperimentazione” è da ritenersi, in ogni caso, una buona base di partenza per iniziare ad avvicinarsi alla corretta adozione.
Durante la pandemia il Governo, attraverso un decreto attuativo approvato con urgenza, ha previsto l’adozione dello Smart Working senza accordo preventivo con i dipendenti (in deroga alla Legge 81/2017) al fine di contenere e contrastare la diffusione del Covid-19, bloccando, di fatto, l’attività in presenza per milioni di italiani.
Al termine del periodo emergenziale, previsto dalla Delibera del Consiglio dei Ministri del 7/10/2020 per il 31 gennaio 2021, si potrà (non è un obbligo) sempre ricorrere al lavoro agile, ma dovranno essere osservate le disposizioni contenute negli artt. 18 e ss. della Legge 81/2017 e successive modificazioni, che definiscono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Quale futuro per il lavoro agile?
Il ricorso allo Smart Working è aumentato esponenzialmente durante il periodo pandemico e post-pandemico, ma è spesso stato confuso con il telelavoro o, peggio ancora, con l’home working.
Il lavoro agile necessita, per essere efficace, di un orizzonte temporale ampio. Non va quindi legato a situazioni contingenti, quali l’attuale pandemia in corso.
Le organizzazioni devono infatti interrogarsi su quanto questa forma di lavoro possa diventare un modello organizzativo stabile nel tempo, analizzandone gli aspetti positivi e negativi.
Rispondere alle esigenze delle persone e creare spazi di lavoro ottimizzati consente alle aziende di ridurre i costi di affitto e quelli legati alle facilities; di contro, però, i settori produttivi il cui indotto è strettamente correlato al lavoro in presenza negli uffici (ristorazione, pulizie e facility management) saranno duramente colpiti e avranno un contraccolpo negativo.
Dal lato dell’organizzazione aziendale è un modo per essere in grado non solo di rispondere alle esigenze delle persone, ma anche di creare spazi di lavoro ottimizzati che consentono risparmi sugli affitti e facilities, con tecnologie che agevolano i processi lavorativi dell’impresa. Il lavoro da remoto potrà considerarsi una forma di lavoro vincente solo nel caso si verifichino una serie di condizioni tra cui:
- una migliore standardizzazione e organizzazione dell’attività produttiva richiesta a ogni lavoratore, attraverso una precisa definizione dei tempi di svolgimento della prestazione;
- evitare che il distanziamento sociale e di spazio appesantisca le procedure all’interno dell’organizzazione;
- una corretta modalità di controllo e vigilanza del lavoro, tema delicato poiché, come spiega anche il Sole 24Ore, nelle organizzazioni non esistono funzioni aziendali dedicate a questa attività.
5 MITI DA SFATARESecondo una ricerca di Hubspot, azienda americana che dal 2021 adotterà il lavoro agile come forma primaria di lavoro, ci sono numerosi falsi miti che inducono le aziende a essere resistenti verso questa tipologia di lavoro. Di seguito alcuni dei principali miti da sfatare, che dovranno essere superati nel prossimo futuro.
I dipendenti da remoto sono poco produttivi (lavorano molto meno) – L’assenza di produttività è il primo mito da sfatare. Spesso si pensa che il lavoratore non presente in ufficio, quindi non a stretto contatto con il capo o collega, sia meno produttivo di quello impiegato in azienda. Convinzione, in realtà, che è stata smentita. Molti lavoratori hanno affermato di aver lavorato più ore da remoto rispetto al lavoro in presenza.
I dipendenti che lavorano da remoto tendono a isolarsi – Il lavoro agile non è sinonimo di isolamento, un programma di remote working può infatti alternare periodi in presenza con periodi a distanza. Durante i periodi in presenza si può continuare a coltivare le relazioni face to face, a seguire corsi di formazione e continuare a fare team building. Per comunicare in modo agevole non serve per forza essere vicini di scrivania, esistono infatti moltissimi software per la gestione delle comunicazioni a distanza, che consentono di tenere traccia di ogni conversazione. Si possono organizzare video call con il proprio team, volte non solo ad organizzare meeting di lavoro, ma anche per creare socialità in modo informale, coinvolgendo tutti i membri del team stesso. Esistono numerosi strumenti utili per organizzare al meglio il lavoro a distanza: Teams di Microsoft, Slack, Asana, Google Hangouts, Zoom, GoToMeeting, GSuite di Google, Cisco Webex Meetings, Teamviewer ecc.
Il lavoro da remoto permette di dedicarsi alle faccende domestiche – Nell’immaginario comune lo smart worker viene spesso rappresentato intento a lavorare e a svolgere, nel contempo, anche attività domestiche quali la cura dei figli, la pulizia della casa. Non è proprio così; il lavoratore remotizzato, organizza bene la sua giornata al fine di evitare distrazioni e interruzioni legate alla sfera domestica/privata. Definisce una precisa routine quotidiana e stabilisce le regole per interagire con altre persone della famiglia. Anche il mercato immobiliare si sta muovendo nella direzione del lavoro agile. Aumentano, infatti, le richieste di immobili più ampi dove poter ricavare lo studio per collocare la propria postazione di lavoro, senza dover condividere spazi comuni. Più che l’esposizione o la luminosità nella scelta dell’immobile si valutano il livello di comfort e il corretto isolamento dal resto della casa della stanza adibita a studio professionale. La priorità è poter lavorare in un ambiente che favorisca la concentrazione. Flessibilità non solo negli orari di lavoro, ma anche nel modo di concepire la casa. Va inoltre sottolineato che il lavoro agile non è necessariamente coincidente con l’home working; è possibile infatti lavorare a distanza in spazi neutri al di fuori delle mura domestiche, come le strutture di coworking.
Il lavoratore da remoto non sarà mai un buon capo – Se i datori di lavoro sono scettici in relazione all’assunzione di dipendenti che lavorino da remoto, lo sono ancora di più quando sono i manager stessi a non essere fisicamente in ufficio a controllare e coordinare le risorse. Anche questo è un falso mito. In Italia le aziende che hanno siglato accordi di Smart Working (di successo, soprattutto nelle figure apicali) sono: Tim, Eni, Enel, Fincantieri, Fastweb e Leonardo.
Il lavoratore da remoto ha tutto il tempo per prendersi cura di se stesso – Lavorare in Smart Working alias più tempo per coltivare hobby e interessi personali. Niente di più falso. Lo stile di vita remoto è in realtà molto più frenetico e la giornata lavorativa è molto più occupata. Spesso chi lavora da remoto perde il contatto con la realtà: salta la pausa pranzo, non intervalla la routine lavorativa con delle pause, tende a non scollegarsi mai. Molte volte questo burnout avviene perché si sente la pressione psicologica di dover dimostrare al proprio datore di lavoro (ma anche ai propri clienti e collaboratori) che, anche da distanza, si mantengono alti gli standard produttivi, aumentando di fatto la prestazione lavorativa a discapito della sfera personale. Il segreto, come sopra riportato, è saper organizzare in modo corretto la giornata. |
* Elisa Bonati è CMO, Marketing Specialist di Lavorofacile.it e giornalista pubblicista. Docente del percorso Digital, Web e Social di Lavorofacile.it Academy, affianca e forma aziende e professionisti nella creazione di policy aziendali per regolamentare l’uso della tecnologia sui luoghi di lavoro e li accompagna verso la digitalizzazione.