Mantenere l’inclusione anche a distanza

Qualche azione che i leader aziendali possono fare per supportare chi, soprattutto in un periodo come l’attuale, si sente “emarginato”, e per creare un ambiente più inclusivo, umano e familiare.

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di Francesca Praga |

Che la pandemia abbia rivoluzionato il modo di lavorare di buona parte di noi è noto. Quello che però resta nell’ombra è un altro aspetto e riguarda in modo particolare i leader aziendali, che devono dimostrare di possedere una cultura incentrata sull’inclusione per mantenere o migliorare la diversità e la partecipazione anche durante questo periodo.

Lo Smart Working, per una grande azienda, rappresenta non solo una sfida tecnologica ma, soprattutto, gestionale e organizzativa: infatti i dipendenti che già si sentono “invisibili” in presenza, non possono che acuire questo sintomo quando si trovano da soli a casa. Ci sarà posto per loro nelle riunioni on-line? E nei progetti da remoto? I loro capi e i loro colleghi si ricorderanno di loro anche senza incontrarli nei corridoi o alla macchina del caffè?

“I comportamenti che normalmente marginalizzano i dipendenti possono passare ancora più inosservati quando questi lavorano da remoto: possono rapidamente sentire di non essere ascoltati, di essere isolati dalle risorse o di non essere in grado di svolgere la stessa qualità o quantità di lavoro mentre lavorano da casa”, ha recentemente affermato Stephanie Stoudt-Hansen, Senior Director Analyst di Gartner in un’intervista, “Questo periodo di rigoroso isolamento e insicurezza mette in luce l’importanza di migliorare la diversità e l’inclusione tra i team”. Sono diverse le azioni che i leader aziendali possono fare per supportare coloro che si sentono emarginati, creando così un ambiente più inclusivo, umano e familiare.

  • Riconoscere e mettere in luce le situazioni in cui i dipendenti possono sentirsi isolati durante la pandemia | In questo momento così delicato e unico, identificare le situazioni personali che portano un dipendente a sentirsi emarginato può essere davvero importante: poco importa che queste situazioni siano legate a discriminazione razziale, oppure per appartenenza generazionale o per situazioni famigliari complesse e stressanti che si sono probabilmente acuite in questo frangente (ad esempio la convivenza con persone malate o anche genitori con bambini di età prescolare, o obbligati alla didattica domiciliare), quello che va messo in luce è il pregiudizio di cui il dipendente si sente vittima, che sia questo conscio o inconscio. Gli esempi sono molteplici e spesso non palesi, come gli episodi di razzismo strisciante e subdolo che è dilagato nella prima fase di pandemia mondiale nei confronti della popolazione cinese o l’allontanamento da cariche dirigenziali della popolazione femminile in età fertile o con prole. Per cui le azioni e programmi che che si possono intraprendere riguardano diversi ambiti: bullismo, discriminazione o molestie di qualsiasi tipo.
  • Assicurarsi sempre che, quando un dipendente segnala un incidente, si senta ascoltato e non giudicato | Il primo passo per evitare l’esclusione, è proprio quello di saperla riconoscere: occorre quindi imparare a identificare i campanelli d’allarme e i piccoli segnali che si possono manifestare in questo periodo così insolito e stressante per evitare che le persone si sentano L’impegno che un diversity manager mette nel proprio lavoro va adeguatamente comunicato al proprio team e va creata una rete di collaborazione con le Risorse Umane. In un momento in cui le comunicazioni sono frammentate e filtrate da uno schermo, in cui non è possibile creare un ambiente di lavoro aperto e condiviso, contattare e creare un rapporto diretto, vero e sincero con tutti i membri del proprio team è fondamentale per assicurarsi che ricevano il sostegno di cui hanno bisogno.
  • Affrontare pubblicamente i comportamenti inappropriati | Una volta riconosciuti i comportamenti inappropriati, non ci sono scusanti per permettere a questi di continuare a Ogni comportamento lesivo verso un’altra persona del team o addirittura verso l’intero gruppo non va celato ma affrontato, sempre con la giusta dose di educazione e rispetto. Spesso, durante le videochiamate con un gruppo elevato di persone i cali di attenzione sono quasi inevitabili ma, ad esempio, anche comportamenti opposti come la voglia di emergere affermando qualcosa che – magari – era già stato affermato da altri, facendosi promotori e fregiandosi di un’idea non propria. Questo è uno dei comportamenti più frequenti e meno facili da riconoscere soprattutto se il team di lavoro è composto da molte voci e da pochi volti, come avviene in una riunione di lavoro on-line.

Ai fini di una buona inclusione, è importante anche saper ridare la paternità di un’idea al giusto proprietario; è un’azione che può apparire scomoda, ma è sicuramente necessaria e raggiunge un duplice scopo: chiarire al team che l’attenzione verso ognuno di loro è sempre alta ed evitare che si creino situazioni in cui qualcuno si possa sentire escluso.

L’importanza del mentoring 1:1

Poiché non si è mai, riprendendo l’esempio di prima, certi della motivazione per la quale un dipendente può aver attuato un comportamento errato, questo non va semplicemente lasciato cadere ma va ripreso, in forma privata, per comprendere la motivazione profonda che lo ha generato.

I colloqui personali sono un momento di scambio fondamentale in questo tipo di situazione, in cui ognuno di noi si trova impossibilitato al confronto quotidiano diretto con i colleghi e tutto è mediato dal video, spesso non individuale ma corale. Non esiste più la pausa caffè, la pausa pranzo, l’aperitivo post lavoro che erano i momenti informali in cui, ognuno, poteva parlare con i colleghi dei temi più svariati, anche relativi a difficoltà o incomprensioni lavorative ottenendo così un punto di vista differente.

Creare un appuntamento periodico di mentoring 1:1 con ogni persona del proprio team, favorendo una conversazione dai toni informali e in cui i giudizi siano sospesi, può aiutare a far sì che emergano situazioni in cui il dipendente si sia sentito emarginato o escluso o abbia subìto o attuato un comportamento errato. È anche il momento migliore per far sì che ogni persona si senta apprezzata e inclusa, soprattutto se i team di lavoro sono composti da un numero elevato di membri.

È ormai noto da tempo, infatti, che i lavoratori in Smart Working possono sentirsi ansiosi, isolati e privi di scopo durante questo lungo periodo di rigide misure di isolamento sociale e lavorativo. Una proposta alternativa potrebbe essere, qualora il mentoring 1:1 non sia attuabile a tappeto su tutto il team, quella di condurre riunioni virtuali settimanali a piccoli gruppi per consentire ai dipendenti di condividere le loro preoccupazioni o pensieri e per gestire eventuali sentimenti negativi che possono provare. Nei casi in cui i dipendenti si rechino ancora in ufficio o in fabbrica – magari in modo discontinuo e saltuario – e qualcuno si senta escluso dai colleghi, può essere utile ospitare, in orari d’ufficio, spazi di colloquio dove il dipendente può trovare ascolto ai propri dubbi, su ciò che vede o sente dai colleghi. È fondamentale assicurarsi sempre che, quando un dipendente segnala un incidente, si senta ascoltato, non giudicato.

Se l’inclusione c’è, va detto pubblicamente

Per cambiare il comportamento di un gruppo di persone, occorre creare una serie di situazioni che generino rinforzi positivi ai propri dipendenti: ad esempio è utile condividere le azioni e i processi che sono stati attuati all’interno dell’azienda per creare un ambiente di vera inclusione o pubblicare nei canali di comunicazione interna i dati che dimostrano come gli ambienti inclusivi offrano risultati personali e di business migliori. In una fase più avanzata, quando i percorsi sono già integrati nell’azienda è possibile creare anche gruppi virtuali di approfondimento a favore delle persone che hanno dimostrato interesse al tema dell’inclusione.


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